Omelia Ammissione candidato Angelo Castellucci (19/06/2016 – Cisterna di Latina)

20-06-2016

Domenica XII TO B

(Zc 12,10-11; 13,1; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24)

Ammissione tra i candidati al diaconato permanente

Cisterna, Parrocchia S. Francesco d’Assisi, 19 giugno 2016

+ Mariano Crociata

 

È un motivo speciale di gioia e di festa per la vostra comunità parrocchiale celebrare l’ammissione di Angelo Castellucci tra i candidati al ministero ordinato del diaconato. Questo momento è anche il frutto del vostro cammino di comunità, nella preghiera, nell’ascolto del Signore, nella comunione e nella fraternità, oltre che dell’impegno che Angelo stesso ha messo nel suo cammino di risposta alla chiamata del Signore accompagnato dalla comunità diaconale e dalla diocesi tutta. Questa celebrazione, però, non deve essere solo occasione e motivo di vanto e di legittimo orgoglio parrocchiale, bensì soprattutto di gratitudine al Signore che vi sostiene con la sua grazia e con la guida del vostro parroco. E deve essere occasione per maturare una accresciuta responsabilità, nel continuare ad accompagnare chi è stato chiamato, ricordandoci che il Signore non cessa di chiamare. Dovete chiedere perciò al Signore di aiutare altri a riconoscere la sua chiamata al servizio dei fratelli nella Chiesa e nel mondo.

Con questa celebrazione la Chiesa, attraverso il vescovo, riconosce ufficialmente e ammette Angelo tra quelli che si preparano a ricevere il sacramento dell’ordine nel grado del diaconato nella sua forma permanente. Riconosce, cioè, che egli è stato chiamato dal Signore e perciò lo accoglie nel cammino che conduce al sacramento. Noi non siamo i padroni dei doni di Dio. È lui che dispone tutto. Noi possiamo solo riconoscere quanto egli mostra di star facendo. Nel cammino del discernimento ecclesiale il nostro compito è scrutare i segni di Dio e accogliere quanto il Signore fa capire e chiede di operare.

Questa è una occasione preziosa per condividere una riflessione su questo punto. Noi siamo abituati a usare espressioni come: ‘si è fatto prete’, ‘si vuole fare diacono’. È un modo di dire che esprime la volontà e l’iniziativa di una persona. E volontà e iniziativa di ciascuno non possono certo mancare. Ma nella vita di fede – e per un credente ciò vale sempre nella vita – i desideri buoni che sorgono nel cuore non sono solo il frutto della persona che li coltiva; il credente sente che attraverso i desideri è il Signore che gli parla e lo chiama a vivere e a collaborare con lui. Ora, tra i molti desideri e le molte ispirazioni che agitano il cuore umano bisogna imparare a riconoscere che cosa veramente Dio vuole da noi. E questo è necessario nelle grandi ma anche nelle piccole scelte della vita. La chiamata di Dio diventa nostra, si trasforma in un nostro desiderio e in una nostra aspirazione, perché il Signore stesso la depone in noi. Come possiamo giungere alla certezza di ciò che viene veramente da Dio ed è una sua chiamata e di ciò che invece è qualcosa di passeggero o non nasce da una chiamata dall’alto? Per giungere a tale certezza è necessario, insieme alla preghiera e all’ascolto della parola di Dio, il confronto con la Chiesa e il suo giudizio, che non si compie con un atto arbitrario o interessato di qualcuno, fosse pure il vescovo, ma con un percorso di esame, di valutazione, in una parola di discernimento che porta alla fine a dire che quella chiamata avvertita personalmente, in qualunque modo suggerita, viene realmente da Dio.

E nessuna vocazione è per l’interesse e la riuscita personale del chiamato, anche se pure lui trova la sua gioia e la sua pace, il suo bene personale, nel rispondere ad essa. Ogni chiamata è per il bene degli altri, della comunità e della missione della Chiesa. Tutto questo si compie oggi. Angelo può mettere un punto fermo nel suo percorso di discernimento, perché la Chiesa gli riconosce di essere stato chiamato da Dio e gli affida il compito di completare la sua preparazione a ricevere il diaconato per mettersi poi al servizio della comunità ecclesiale dove essa lo manderà.

A me pare che quanto stiamo celebrando e vivendo ci aiuta ad ascoltare e fare nostro ancora di più quanto il Signore ci vuole dire con la sua parola questa domenica. Gesù mette i suoi di fronte alla domanda: «voi, chi dite che io sia?». Enfatizzando un po’ le cose, si potrebbe dire che tutta la nostra fede cristiana ruota attorno a questa domanda, e precisamente attorno alla risposta che vogliamo dare a questa domanda. Se siamo qui, è perché anche per noi è vero ciò che dichiara Pietro: «tu sei il Cristo». Anche noi abbiamo questa certezza e per questo vogliamo scommettere la nostra vita su di lui, vogliamo seguirlo e rimanere sempre più legati e uniti a lui.

Forse, però, semplifichiamo troppo le cose quando pensiamo che basti la convinzione circa la vera identità di Gesù per essere buoni cristiani. In realtà, ci sta dicendo il Vangelo, essere buoni cristiani è molto di più che avere una giusta convinzione. Non serve avere in testa convinzioni giuste, se poi si continua a fare la vita di sempre, senza che niente e nessuno ci scomodi, perché alla fine una tale vita non ha molto di cristiano, non ha molto di diverso rispetto alla vita di chi cristiano non è. Che uno è cristiano lo si vede dal modo come accoglie e pratica quello che il Vangelo di oggi di seguito dice: abbracciare e seguire Gesù fin sulla croce, prendere la propria croce, seguirne l’esempio fino ad essere disposti a perdere la propria vita per lui.

Non è una cosa del tutto astratta, questa del perdere la propria vita per lui, visto che tanti sono i cristiani che vengono martirizzati al giorno d’oggi. A noi non è chiesto questo, ma è chiesto di spendere la nostra per il Signore e per i fratelli. In fondo la chiamata del Signore, ogni sua chiamata è diretta a chiedere di mettersi a servizio degli altri. Certamente prendersi cura della propria famiglia è una vocazione; svolgere bene e onestamente il proprio lavoro è una vocazione. Viene da chiedersi quanti vivono famiglia e lavoro come vocazione, e quindi non solo come ricerca di soddisfazione e vantaggio personali, ma come dedizione incondizionata al bene degli altri. Su questa linea viene fuori, però, una cosa nuova: il Signore a volte chiama alcuni a fare qualcosa di più, a fare un dono più grande della propria vita. È in fondo quello che Angelo sta facendo: insieme alla famiglia e al lavoro, sente che il Signore lo chiama ad aiutare i fratelli della comunità ecclesiale in un servizio ulteriore, quello del diacono e di ciò che esso comporta. È una strada che si apre, un cammino che comincia; ma è qualcosa di cui intuiamo il senso e intravediamo la direzione.

Allora, mentre auguriamo a lui di rispondere sempre meglio alla sua vocazione diaconale, per tutti noi dobbiamo cercare di comprendere e accogliere quanto il Signore ci chiede, per essere veramente suoi discepoli, disposti a percorrere il suo cammino fin dove egli ci vuole portare prima di giungere alla gloria.