Omelia al Raduno Scout d’Europa (02/08/2019 – Fossanova)

02-08-2019

OMELIA

Venerdì 2 agosto 2019

Fossanova, Raduno Scout d’Europa

+ Mariano Crociata

Lungo il cammino che state facendo – quello che vi sta conducendo a Roma, ma anche quello che portate avanti nella vostra associazione e non ultimo quello che ciascuno di voi attua nella sua vita personale – oggi vi raggiungono due messaggi, due appelli.

Mi ha sempre colpito il fatto che gli scout, a differenza della gran parte di altre associazioni, pratica sistematicamente una serie di ritualità, a volte anche semplici, ma sempre compiute con serietà e rigore dai più piccoli come dai più grandi. Parole d’ordine, gesti, movimenti, canti e altro ancora trovano posto sempre nei raduni scout. A questo mi è venuto subito spontaneo di pensare quando ho ascoltato il brano del libro anticotestamentario del Levitico, nel quale vengono elencate tutte le feste più importanti che immancabilmente il popolo deve celebrare seguendo tutte le relative regole prescritte.

Il rito fa parte della vita umana associata da sempre, è una dimensione costitutiva dell’esistenza umana. Attraverso la reiterazione rituale i gruppi umani si dicono e sperimentano – non solo verbalmente e intellettualmente, ma soprattutto con il corpo, la psiche e lo spirito – che cosa veramente conta, i valori fondanti della vita personale e comune, il senso della stare insieme e l’ideale a cui si vuole tendere comunitariamente.

Anche voi scoprite che è necessario essere aiutati a ricordare e a praticare i motivi e lo stile del vostro fare scoutismo, e siete ben contenti di poter marciare, gridare, mettervi sull’attenti e di compiere tanti altri gesti per sentirvi ed essere realmente scout. Ora il vostro essere scout ha un’anima più profonda nella fede cristiana che ci anima tutti e che ha il potere di rendere pieno il significato e autentica l’esperienza dello scoutismo. È per questo che la vostra ritualità associativa si intreccia con quella ecclesiale, come è il caso di questa celebrazione. Mantenere e partecipare agli impegni liturgici della vita di Chiesa e della nostra fede è un sostegno imprescindibile per la nostra vita tutta intera e una espressione insostituibile della nostra coscienza e della nostra identità.

Il secondo messaggio lo definirei una messa in guardia contro l’assuefazione e l’ottundimento della lucidità e dell’attenzione che talora l’abitudine produce. Succede che Gesù sia conosciuto dai suoi concittadini fin da piccolo. E, come avviene nei paesi non molto grandi, nei quali tutti sono conosciuti, etichettati e classificati, dentro schemi di giudizio in cui rimangono ingabbiati e da cui niente ha il potere di far uscire, anche lui viene stritolato dentro tale meccanismo. L’originalità di Gesù, come quella di ogni persona, viene come fissata per sempre su una immagine definita, fino a rifiutare che egli possa essere diverso da come è sempre apparso, possa essere capace di fare cose diverse dal previsto. Perciò i concittadini di Gesù guardano a lui con scetticismo e ironia, trincerati dietro il loro consolidato pregiudizio. L’effetto è che in questa maniera essi rimangono immunizzati verso tutto ciò che di nuovo può accadere o essere comunicato e rivelato. E lo stesso Gesù non può farci niente. Di fronte all’ottusità e alla chiusura pregiudiziale non si può fare niente, se non aspettare che si sblocchi lasciandosi scuotere alla fine dal nuovo che accade.

Il punto è proprio questo: il nuovo accade, quando e dove non ce l’aspettiamo; ma se non siamo attenti e pronti a coglierlo, il rischio è di perdere l’occasione e rimanere isolati e infecondi. Naturalmente Gesù non ci invita ad essere creduloni ed esaltati, ma piuttosto ad essere svegli, capaci di avvertire ciò che di bello e di buono, di nuovo, incontriamo nella nostra vita, magari nelle persone che siamo abituati a considerare e giudicare destinate a non cambiare mai. Ci vuole attenzione, vigilanza, disponibilità, interesse, ricerca sincera, per essere visitati dalla novità, dalla vita, e in ultimo per essere anche noi sorpresi da Dio e dal suo Figlio incarnato anche dietro le spoglie dell’abitudine.

L’atteggiamento di chiusura al nuovo e all’imprevisto spesso nasconde la difesa di un sistema di vita che non si vuole mettere in discussione e modificare. Allora c’è il rifiuto preventivo e addirittura il contrasto e la lotta verso tutto ciò che potrebbe cambiare lo stato di cose in cui si è asserragliata la nostra vita. È proprio ciò che capitato a Gesù, condotto a morte da coloro che non volevano essere messi in crisi dalla sua persona, dal suo esempio e dal suo insegnamento.

C’è bisogno dunque di uno sguardo sincero su noi stessi e del desiderio di non adagiarsi sull’abitudine, sulla noia, sulla rassegnazione alla mediocrità e a volte anche sul degrado spirituale, fisico e morale. Siamo chiamati a reagire, a lottare per il meglio e per un di più. Non dite proprio voi di voler lasciare il mondo un po’ migliore di come lo avete trovato? Con Gesù è in gioco non solo un piccolo miglioramento, ma addirittura il completo capovolgimento di questo mondo, per farlo veramente nuovo e bello come tante volte l’abbiamo sognato. Si tratta di dare credito a Gesù e di agire di conseguenza.