Commemorazione vescovi e sacerdoti defunti (11/11/2016 – Latina)

13-11-2016

OMELIA

Commemorazione dei vescovi e sacerdoti defunti (2Gv 1a.3-9; Lc 17,26-37)

Venerdì 11 novembre 2016

+Mariano Crociata

 

È un gesto di gratitudine quello che oggi compiamo, celebrando in suffragio dei confratelli che ci hanno lasciato da poco o molto tempo. Ma è anche un gesto di consapevolezza e di umiltà. Riconosciamo che tanto di ciò che fa vivere e fa andare avanti la nostra Chiesa viene dalla loro operosità e dalla loro eredità spirituale, pastorale e culturale. Le cose buone – quando sono buone – per lo più non cominciano con noi. Potremo avere il merito – ma è un merito frutto solo della grazia prima che della nostra cooperazione – di portare avanti ciò che è stato iniziato da altri.

Dobbiamo inoltre prendere atto del fatto che tanto bene giunge a noi non solo dai confratelli che abbiamo stimato e con cui abbiamo avuto frequentazione e amicizia, o da cui abbiamo ricevuto qualcosa in modo singolare, ma anche dagli altri, che abbiamo conosciuto poco o di cui abbiamo soprattutto colto limiti e difetti. Il nostro pregare per tutti i confratelli che non ci sono più non è un atto di degnazione o anche di carità, ma piuttosto di riconoscenza e di prolungamento del nostro essere presbiterio e di essere uniti sacramentalmente. Sentiamo che la loro purificazione diventa anche la nostra e il loro crescere nella comunione con Dio attrae anche noi più intimamente nell’unità delle persone divine. Lo scambio dei beni spirituali e della preghiera ci fa toccare qualcosa di quell’unità che sarà di tutti quando ci troveremo al cospetto dell’Eterno. Di vero cuore, perciò, preghiamo per loro e accogliamo la loro intercessione di cui non percepiamo il suono mentre ne professiamo profondamente il fervore di implorazione.

Accogliendo questi pensieri siamo già entrati nell’ambiente spirituale della prima lettura, che invita insistentemente all’amore fraterno; un amore che è autentico nella circolarità, tipicamente giovannea, con i comandamenti del Signore, con la fede ferma nella sua incarnazione e l’adesione convinta alla retta dottrina. Sono elementi costitutivi di un unico e indivisibile assetto: non ci possiamo accontentare di una correttezza dottrinale senza l’impegno generoso per osservare i comandamenti, al centro dei quali sta la carità. Dobbiamo chiedere al Signore di non permettere mai di ingannarci da soli, trovando fasulle giustificazioni e allettanti attenuanti per la nostra coscienza quando si tratta di ciò che offende il Signore e i fratelli, oltre che il ministero. Cerchiamo la sincera adesione del cuore e la rettitudine e la coerenza della vita. Adoperiamoci per crescere nella stima e nella comprensione reciproca. Vorrei quasi dire che questo è anche il primo rilevante gesto pastorale e la prima esemplare testimonianza di vita ministeriale. L’amore fraterno è il tratto distintivo della comunità ecclesiale, tanto più quando si tratta del presbiterio e della comunità diaconale intimamente uniti dal sacramento dell’ordine.

La pagina evangelica conferisce una tonalità ultimativa all’invito pressante dell’apostolo e, attraverso di lui, del Signore. Non c’è bisogno di trovarsi in situazioni estreme, per condizioni di salute, età o altro, per sapere che potrebbe arrivare da un momento all’altro la chiamata del Signore. Due cose, al riguardo, ci possono ingannare: la sensazione rassicurante che lascia l’ininterrotto scorrere uguale del tempo e l’assiduità nel condividere l’ordinarietà e la consuetudine della vita con altri. Nel primo caso l’inganno sta nel pensiero, indotto dall’apparente scorrere uguale delle giornate, che nulla mai cambierà, che le cose andranno sempre avanti così. Nel secondo caso l’inganno consiste nel fidarsi dello stare insieme come di un sostegno su cui contare di fronte all’imprevisto giungere del giudizio. Esteriormente sembriamo tutti uguali; nella realtà ognuno ha il proprio cammino – più o meno fedele – che si scoprirà alla fine, quando nessuna consuetudine inveterata di vita potrà impedire di essere sorpresi dalla venuta del Signore ed essere presi da lui o lasciati a preferenza di altri.

La preghiera per i nostri confratelli, allora, non soltanto procuri loro la consolazione e il suffragio nel cammino verso la piena comunione con Dio, ma doni a noi una più grande saggezza di vita, il desiderio di una dedizione integra al nostro ministero e una più forte volontà di condurci con amore fraterno e con carità.