Saluto alla Consulta regionale dei Beni culturali ecclesiastici (09/12/2014 – Latina)

09-12-2014

Saluto

alla Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici

Latina, 9 dicembre 2014

+ Mariano Crociata

Un saluto cordiale di benvenuto a tutti voi, membri della Consulta regionale del Lazio per i beni culturali ecclesiastici, che avete accolto l’invito a svolgere a Latina il vostro periodico incontro di aggiornamento. Sono ben lieto che possiate godere della nostra ospitalità e conoscere qualcosa del nostro patrimonio storico-artistico trasmesso da una tradizione in alcuni casi molto antica. La nostra è una diocesi davvero variegata, nella quale antico e nuovo si coniugano in maniera diversa di come per altri versi avviene un po’ dovunque. La sua recente costituzione nella configurazione attuale abbraccia sedi episcopali plurisecolari che in alcuni casi varcano il millennio. L’accentuata mobilità dei movimenti migratori e la varietà delle provenienze regionali di buona parte della popolazione, accanto ai residenti di radicato insediamento nel territorio, pongono più che altrove la sfida di un cammino di integrazione culturale e spirituale ancora a venire. Ciononostante è avvertita in tutte le comunità il senso di una unità ecclesiale avviata verso una crescita sempre maggiore.

Oggi siete qui per occuparvi di questioni tecniche, talora molto specifiche, che continuamente si aggiungono a un repertorio già complesso di temi architettonici, artistici, culturali, ma anche legislativi, amministrativi ed economici. Vorrei, salutandovi, richiamare la vostra attenzione su un aspetto più generale, a voi peraltro ben presente, non immediatamente attinente tali temi. Mi riferisco alla dimensione pastorale e culturale non solo della fruizione, ma anche semplicemente del rapporto tra le nostre comunità e i nostri beni culturali. Troppo spesso – come purtroppo tanti altri ambiti del nostro impegno ecclesiale, e cito per tutti quello tra i più clamorosi della carità – questi nostri beni vengono considerati competenza di pochi addetti o esperti o appassionati (non voglio ipotizzare altri casi), a cui delegare la cura o la responsabilità in modo più o meno esclusivo. Ciò che fa difetto in questo schema non è la valorizzazione delle necessarie professionalità, ma la loro separazione dal più vasto vissuto ecclesiale. Paradossalmente, alla lunga ciò si ripercuote sulla stessa tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

Non è in questione l’uso strumentale dei beni culturali a fini, poniamo, di catechesi. In questo senso sono in corso esperienze e non da poco tempo. L’esigenza pastorale in realtà consiste in qualcosa di più ampio, e precisamente nella capacità di far rientrare quel patrimonio nella formazione della coscienza attuale dei fedeli e delle comunità. Coscienza ecclesiale vuol dire coscienza di fede, e quindi relazione credente con il Signore nella comunità attraverso tutte quelle mediazioni, formalmente o sostanzialmente ‘sacramentali’, che la rendono viva e condivisa. Quando dico coscienza attuale non mi riferisco all’attualismo fatuo prodotto dai mille attivismi di una pastorale del fare per fare, bensì a quella capacità di farsi carico della tradizione viva della Chiesa in tutta la sua ricchezza, fino a farla diventare fermento di un presente fecondo di fede e di annuncio evangelico, aperto nella speranza al futuro di Dio.

Non siamo dinanzi a un auspicio, ma a una necessità. Saremo sempre meno nelle condizioni di far fronte al fabbisogno manutentivo ed economico del nostro patrimonio culturale. Solo la consapevolezza di una comunità potrà far vivere reperti del passato dentro un’esperienza che riesca a far tesoro di tutto ciò di cui dispone. In questo senso, un’adeguata visione pastorale come orizzonte della cura dei beni culturali diventa sempre di più, anche, condizione di un suo mantenimento attraverso il reperimento delle risorse umane e materiali necessarie al loro investimento in un progetto di largo respiro. È una questione di fede ed è una questione di cultura: di fede, perché quando essa è viva, è anche capace di raccogliere e di tenere unito tutto ciò che la nutre senza lasciar disperdere nulla; di cultura, perché c’è una elevazione intellettuale e spirituale umana che costituisce premessa e contesto di una adeguata esperienza di fede e di Chiesa. È in atto un impoverimento preoccupante dell’una e dell’altra.

Mi permetto di aggiungere, ancora, che a un tempo in cui l’enfasi è stata posta sulla necessità di recuperare e valorizzare gli elementi e la dimensione cristiana della tradizione storica e culturale del nostro Paese, succede e si apre un’epoca in cui l’esigenza che si impone è quella che aspira a guardare al futuro più che al passato, a creare e produrre nuova cultura. La verità è che non c’è futuro per la cultura cristiana senza un rapporto fecondo e una riscoperta continua della sua tradizione e della sua storia. Non accada, allora, che il bisogno di creare qualcosa di nuovo ci trovi sguarniti sul fronte dell’assimilazione degli elementi straordinariamente ricchi di un passato, che è in grado di rimanere parte viva del nostro presente ecclesiale e culturale a condizione di avere, a sua volta, un futuro. Non ci accada, cioè, di perdere con il passato anche il futuro.

Affido queste considerazioni all’inizio dei vostri lavori, come una cornice entro la quale occuparsi, come è giusto, delle questioni specifiche e urgenti che premono sugli adempimenti che la cura dei nostri beni impone nell’ambito della nostra regione; fiducioso, comunque, che uno sguardo oltre l’orizzonte immediato, su argomenti che ci stanno profondamente a cuore, potrà dare un senso più profondo e sapiente a un lavoro altrimenti minacciato di oscillare tra l’aridità di problemi di ardua, se non spinosa, gestione e l’estetismo di un godimento disincarnato e alla fine non meno alienante di quella. Si tratta, oltretutto, di un compito la cui esecuzione dipende, non secondariamente, anche da voi.

Auguri di buon lavoro!