Saluto al convegno Caritas su “Lavoro nero, tra sfruttamento e caporalato nelle campagne pontine”

Latina, 07/11/2014
07-11-2014

Saluto

al convegno su

“Lavoro nero, tra sfruttamento e caporalato nelle campagne pontine”

promosso dalla Caritas diocesana

Latina, 7 novembre 2014

+ Mariano Crociata

È difficile sottovalutare l’importanza dell’argomento messo a tema dal convegno che la Caritas diocesana, insieme all’Associazione Progetto Diritti e al Comitato Singh Mohinder, ha promosso per oggi. Lo dice anche la presenza di tutti voi, che ho il piacere di salutare cordialmente, innanzitutto nella persona del Prefetto di Latina, dott. Antonio D’Acunto, e poi delle autorità intervenute, dei relatori, fra i quali mi sia consentito citare l’Assessore regionale Rita Visini, e di quanti avete avuto la sensibilità di accogliere l’invito a partecipare.

Non sembri fuori luogo cominciare con il ricordare quale sia la missione della Chiesa. Infatti è ragionevole aspettarsi che una questione come il lavoro nero venga affrontata in sede di sindacato, o di confronto tra forze sociali, o politica e partitica, o ancora di responsabilità per l’ordine pubblico e la giustizia. Non è altrettanto ovvio che a occuparsi di un tale problema sia un organismo espressione diretta della realtà ecclesiale. Forse una parola di papa Francesco ci aiuta a inquadrare meglio la giusta visione delle cose: «Aggiungo una parola su un’altra particolare situazione di lavoro che mi preoccupa: mi riferisco a quello che potremmo definire come il “lavoro schiavo”, il lavoro che schiavizza. Quante persone, in tutto il mondo, sono vittime di questo tipo di schiavitù, in cui è la persona che serve il lavoro, mentre deve essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità. Chiedo ai fratelli e sorelle nella fede e a tutti gli uomini e donne di buona volontà una decisa scelta contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il “lavoro schiavo”» (Francesco, Udienza, 1° maggio 2013).

La Chiesa non ha il compito di risolvere i problemi sociali dell’epoca in cui vive; la sua è una missione pastorale, di evangelizzazione e di comunicazione della fede in Cristo per la salvezza di tutto l’uomo e di ogni uomo. Proprio nello svolgimento della sua missione essa annuncia la grandezza e la dignità di ogni essere umano, in quanto persona creata a immagine e somiglianza di Dio. È la natura stessa della sua missione, allora, che richiede l’attenzione al rispetto e alla difesa di ogni esistenza umana, in modo particolare di quella più debole e più esposta alla prevaricazione del più forte.

Sono tante le situazioni di maltrattamento e di sfruttamento che si verificano attorno a noi, sia nei confronti di stranieri che di connazionali. Quelle riguardanti il lavoro nero sembrano essere molto diffuse nel nostro territorio. Il convegno ha proprio lo scopo di far emergere più chiaramente alla coscienza collettiva l’esistenza di tale fenomeno, di acquisirne una conoscenza obiettiva e di indicare possibili percorsi in vista di un suo superamento. Il nostro è un segno: un segno della solidarietà cristiana nei confronti di chi soffre a motivo del lavoro che manca o del lavoro che schiavizza, come si esprime il Papa. Il nostro auspicio è che il segno sia raccolto e trovi seguito in un atteggiamento costruttivo, che orienti al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di italiani e stranieri nel nostro territorio.

Non amiamo le denunce recriminatorie né i proclami retorici; non siamo contro qualcuno; cerchiamo piuttosto un futuro migliore per tutti. Il nostro desiderio non è vedere qualcuno condannato o messo alla gogna, bensì molti, bisognosi di rispetto, riscattati e restituiti a relazioni sociali degne della persona umana. Sono fiducioso che questo momento di riflessione porterà frutto in tale direzione.

La Chiesa, peraltro, se ha uno sguardo privilegiato rivolto ai più poveri e ai più provati dalla vita, non per questo distoglie lo sguardo dagli altri. Tutti guarda come a suoi figli. Siamo infatti consapevoli delle difficoltà che fare impresa, produrre e commercializzare, oggi comporta, nell’agricoltura e in ogni settore della vita economica. Proprio questa constatazione deve renderci tutti più coraggiosi e solidali; deve renderci, se così posso dire, più attenti e lungimiranti; poiché il guadagno ottenuto con lo sfruttamento di persone e sottraendosi alle disposizioni di legge e alle esigenze dell’etica, dà un utile immediato, ma in prospettiva distrugge il tessuto sociale e impoverisce la stessa ricchezza collettiva, con ricadute presto o tardi dannose anche per i singoli. Quello di cui non ci si rende conto è che l’illegalità e l’immoralità grave dello sfruttamento delle persone sono espressione di miopia anche dal punto di vista economico. Bisogna tornare a perseguire con intelligenza anche l’interesse privato. È ciò che fanno tanti imprenditori che con sacrificio si adoperano per portare avanti le loro aziende nel rispetto delle persone e della legalità. Anzi, non possiamo né vogliamo dimenticare i tanti imprenditori onesti e rispettosi delle leggi, che – proprio per le loro scelte di legalità – sono spesso sottoposti alla concorrenza sleale di chi ha fatto dell’illegalità un costume, e perciò faticano a tirare avanti. A loro – che bisogna sperare diventino sempre più numerosi – la collettività è in debito di un incoraggiamento morale e di un sostegno istituzionale.

Di che cosa c’è bisogno, in prospettiva? Certamente di uno sforzo per affrontare efficacemente il problema. La bonifica dei terreni è stata compiuta una volta per tutte, così che dei suoi effetti potremo continuare a godere ancora a lungo; della bonifica spirituale, morale e legale delle persone e dei loro cuori, invece, abbiamo bisogno sempre, perché è un’opera che non finisce mai.

Proprio a tale scopo, è nostro compito di Chiesa ricordare che, insieme all’opera della giustizia, delle forze dell’ordine, della politica e di tutte le istituzioni di una società civile, c’è bisogno al di sopra di tutto di una profonda opera educativa. Si tratta di formare le anime e le menti al senso del bene e della giustizia, al senso del rispetto delle persone e della responsabilità nei confronti della comunità, al senso della laboriosità assidua e onesta, che rifugge dalla tentazione del guadagno facile che corrompe i cuori e le relazioni tra le persone, e immette nel tessuto sociale un germe di corruzione che rende la vita, alla fine, insopportabile a tutti.

Fa parte di quest’opera educativa instillare il senso della dignità di ogni persona, qualunque sia il colore della pelle, la lingua e la cultura, la religione e il modo di vivere. Abbiamo bisogno di imparare l’arte dell’accoglienza e del dialogo. C’è una ricchezza incalcolabile racchiusa nel fenomeno appena iniziale – seppure pluridecennale – dell’immigrazione da altri mondi umani, di cui l’aspetto economico è solo il più evidente e il più immediato, poiché l’integrazione schiude potenzialità di arricchimento reciproco sul piano sociale, culturale, spirituale. Spero che sapremo cogliere questa opportunità storica, come territorio pontino e come Paese. Confido che il convegno di oggi porti un contributo significativo alla realizzazione di un simile lusinghiero progetto.