Riflessione iniziale all’assemblea del clero (18/09/2020 – Latina)

18-09-2020

Preghiera di inizio dell’assemblea del clero

18 settembre 2020

Riflessione

+ Mariano Crociata

Questo brano di Vangelo lo propongo alla conclusione della mia lettera pastorale di quest’anno, la quale si sviluppa come tra due poli: i discepoli di Emmaus e la pesca miracolosa, appunto. Questi due brani, posti rispettivamente alla fine e all’inizio della vicenda pubblica di Gesù secondo Luca, li riprendo a ritroso un po’ come avviene ai discepoli di Emmaus, i quali, quando aprono gli occhi, riprendono la strada di Gerusalemme. Si tratta sempre di ritornare, si potrebbe osservare; la questione è verso dove si ritorna. Noi incontriamo i due sulla via del ritorno a prima dell’incontro con Gesù, lontano da lui e dalla sua comunità; il loro ritorno alla vita vera è però quello che li riporta a Gerusalemme, alla comunità dei discepoli che è diventata la comunità del Risorto.

Quando prendiamo coscienza di noi stessi e della nostra situazione, la prima cosa che ci tocca scoprire è che siamo andati a finire inesorabilmente lontano. Dove siamo, siamo già lontani da Lui. Il nostro cammino può essere solo un ritorno, un ritorno alla vita. E il ritorno avviene grazie a un incontro, anzi: all’incontro.

La lettera di quest’anno è una meditazione che si sviluppa soprattutto attorno al brano di Emmaus; solo alla fine ci sono i riferimenti essenziali del nostro cammino pastorale di quest’anno, su cui ci soffermeremo alquanto questa mattina. Ho scelto questo registro perché ho compreso che tutti quanti, a cominciare da me, abbiamo bisogno soprattutto di orientamento, di scoprire e abbracciare il senso spirituale del tempo che stiamo vivendo. Tutta la Scrittura può risultare illuminante, ma ho pensato che la pagina di Emmaus, e poi quella di oggi, potessero aiutarci in maniera efficace e puntuale alla riscoperta del nostro cammino, a partire da un evangelista, Luca, per il quale il cammino di Gesù e, poi negli Atti, del Risorto, della Parola, della Chiesa costituisce un motivo dominante.

E appunto si tratta del nostro cammino, personale e comune. La suggestione principale che ho colto nella rilettura del brano è stata il paradosso che i due discepoli vivono: sembra quasi che bisogna arrivare nel punto più lontano per riscoprire tutto nuovo, per ricominciare, per prendere la via del ritorno. E si prende la via del ritorno a Gesù, quando si scopre che egli è vivo. La lezione più impressionante sta proprio qui: dopo, quando ci ripensi, ti accorgi che proprio nel momento più grave della tua disperazione, proprio in quel momento il Risorto era all’opera, stava agendo, era già presenza vitale; e la sola sensazione che avverto in maniera pungente è che sono in ritardo, come immagino i due discepoli dovettero sentirsi in ritardo e fuori posto, lontani dal cuore della storia e dal centro dello spazio in cui la vita stava accadendo, in cui il Risorto si stava manifestando. Prego che anche per noi questa sia l’esperienza decisiva, di chi apre gli occhi.

Qualcosa di simile avviene nella pagina che abbiamo ascoltato. E la somiglianza sta innanzitutto nell’incontro. Come il ritorno, così ogni forma di ripresa, di rilancio, di rinnovato slancio, avviene grazie a un incontro, in una condizione non di successo e di affermazione vincente, ma di fatica e a volte di fallimento.  Pietro e i suoi soci vengono da una notte senza pesca. È l’incontro con Gesù di Pietro, e poi di Giacomo e Giovanni a determinare la svolta decisiva. I loro sono nomi e volti precisi, come lo è quello di Gesù, con il quale si stabilisce una empatia privilegiata. In realtà la generica empatica diventa, anche qui, apertura degli occhi e riconoscimento, nell’atto in cui la Parola di Gesù viene ascoltata e messa in pratica. Solo agendo e mettendo in pratica, si capisce, si comincia a vedere. E cominciando a vedere e a capire, si comincia a fare esperienza della fecondità e dell’abbondanza della vita, ma anche della fecondità e dell’abbondanza dell’azione pastorale.

In fondo, come sempre, il Vangelo parla a noi, parla di noi; non ai nostri fedeli, ma a noi. La Scrittura non è innanzitutto il supporto delle nostre belle prediche fatte agli altri, ma la Parola che Dio rivolge a me, a te, a noi preti e diaconi, personalmente e insieme. Se non lo fate già, cominciate così quando preparate le prediche: prima di chiederci come e cosa dire agli altri, chiediamoci che cosa dice a me, che cosa vuole da me.

E allora può capitarci di prendere coscienza di una sorprendente somiglianza di situazione tra noi e i discepoli. Anche noi possiamo sentirci come loro: abbiamo lavorato tanto e non ne abbiamo cavato nulla, o almeno molto poco. Ci sentiamo inadeguati e a disagio. Non sappiamo da dove ricominciare.

E ora ci si mette pure un nuovo progetto, nuovi compiti, altro lavoro: da dove cominciare? Come fare? Sono senza forze, senza fantasia. Soprattutto, sono senza collaboratori adeguati, sono solo e rischio di non concludere nulla. Meglio aspettare, vedere come si mettono le cose. È comprensibile tutto questo. Ciascuno di noi ha vissuto situazioni simili in qualche momento della propria vita. Ma Gesù procede in maniera diversa: nell’ora del giorno e nel modo più improbabili per un pescatore esperto, dice come e dove gettare le reti. Non vuole certo dire di compiere cose non ragionevoli, chiede piuttosto di cambiare atteggiamento interiore, spirituale: non paurosi o calcolatori meschini, ci vuole, quanto piuttosto fiduciosi e attivi nel seguirlo e mettere in pratica la sua parola. Quando si tratta di lui, la sua azione diventa efficace dove meno te l’aspetti, dove ti sembra meno probabile. E soprattutto riscopri in te e attorno a te energie insospettabili. Ci sono in noi potenzialità nascoste che solo l’incontro con Gesù e l’accoglienza della sua Parola possono fare sprigionare.

E il tempo dell’annuncio e della missione non conosce calcoli. Vale qui l’esortazione di san Paolo: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù […]: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tim 4,1-2). E questo perché è opera sua, non nostra; è lui che ce lo chiede. Quello che dobbiamo fare è aiutarci gli uni gli altri a gettare le reti dalla parte della barca che ha indicato, una volta che Gesù ce lo ha detto. Il punto sta proprio qui: accogliere ed eseguire l’invito di Gesù. Solo così lo incontreremo davvero e solo così avrà fecondità la nostra vita e il nostro ministero.