Relazione al clero di fine anno e di apertura al nuovo (19/06/2020 – Cattedrale di Latina)

19-06-2020

Relazione al clero di fine anno e di apertura al nuovo

Latina, 19 giugno 2020

✠ Mariano Crociata

 

Una fase di passaggio

Il clima di preghiera e di riflessione di questa giornata che celebra l’amore di Dio in Gesù e tocca intimamente le nostre persone di ministri ordinati, deve continuare ad avvolgere questo secondo momento di comunicazione da parte mia. Una comunicazione che si colloca tra un anno che finisce e uno nuovo che si profila dinanzi. Lo stesso sentimento di incertezza è quello con cui ci volgiamo indietro ai mesi trascorsi sotto il peso opprimente dell’epidemia e quello con cui guardiamo al futuro, trepidanti per il desiderio di vedere a poco a poco svanire le ultime nuvole nere che ingombrano l’orizzonte.

A uno sguardo attento, in realtà sappiamo che dobbiamo comunque attrezzarci per procedere in condizioni diverse – poco o molto, per adesso non importa – da quelle nelle quali abbiamo condotto finora la nostra vita personale e sociale e la nostra vita di Chiesa. Tutti avvertiamo ancora l’esigenza di elaborare quanto abbiamo vissuto e che ancora ci tocca, e alcuni di voi lo hanno segnalato espressamente, in occasione di incontri che abbiamo svolto in videoconferenza. Questa esigenza è stata comunque a tema negli incontri foraniali che abbiamo tenuto, ma poi anche in quelli dei consigli, dei vicari e in altri ancora. Lo stesso scopo aveva la proposta di un ritiro personale e quella di una piccola relazione da scrivere per me e per voi stessi, con il suggerimento di tre domande per guidare la riflessione: che cosa significa ciò che stiamo attraversando? Quale lezione ne dobbiamo ricavare? Come possiamo prepararci al futuro?

Il punto in cui siamo e il passo da fare

Pochi di voi hanno risposto e di ciascuno di voi apprezzo ciò che ha scritto; certo lo terrò presente. Non escludo ci sia qualche nuova occasione per tornare su tali questioni, ma ciò dipenderà da come evolverà la situazione sanitaria nazionale e internazionale. In questa sede non mi sembra che questo debba essere oggetto della nostra attenzione, ma solo restare sullo sfondo come contesto mentale e pratico da cui non si può certo evadere; soprattutto resta sullo sfondo come contesto spirituale, che ha ridisegnato il nostro sentire circa ciò che è veramente importante nella nostra vita personale e nella nostra vita di Chiesa, e circa l’orientamento che dobbiamo dare ad essa. Per questa stessa ragione considero non sia nemmeno il momento di tornare su aspetti organizzativi e pratici, sui quali sono state date a più riprese indicazioni abbastanza definite per poter andare avanti nello svolgimento dell’azione pastorale. Naturalmente sarà importante tornare su alcune di esse secondo tempi e modalità opportune. Avverto invece il significato provvidenziale del nostro incontro in questa fase del cammino della nostra Diocesi, per chiedermi innanzitutto quale sia il punto nel quale ci troviamo e, in secondo luogo, quale debba essere il nostro prossimo passo.

 

L’ascolto del Signore tra Parola ed Eucaristia

Per fissare il punto nel quale ci troviamo mi sembra naturale fare memoria del breve tratto di cammino che abbiamo condiviso in questi anni, venuti dopo un tempo dedicato al Sinodo Diocesano e all’impegno prioritario di unificazione della nostra Chiesa particolare, ancora vistosamente segnata da una eredità variegata, e talora frammentata, di tradizioni e di presenze. È sembrato dunque venire il tempo di conferire ulteriore linfa a quel bisogno di unità ridando nuovo respiro all’ascolto, come ascolto innanzitutto della Parola di Dio, ma poi anche di tutto ciò e di tutti coloro attraverso i quali il Signore ci parla. Sono consapevole che tale scelta, sia pure riconosciuta da tutti nel suo valore per ragioni comunque acquisite e consolidate, a fatica è riuscita a farsi spazio e, per quanto mi risulta, anche alla luce degli incontri parrocchiali svolti negli anni scorsi, vivacchia qua e là. Riconosco d’altra parte che è un impegno arduo, perché richiede uno sforzo che molti non si sentono o non sono capaci di fare, ripiegando sulla più accomodante e gratificante ritualità strumentale e abitudinaria e sul devozionismo (altra cosa è la devozione!).

Preciso subito il mio pensiero, facendo notare ancora una volta che non intendo la ripresa in forza dell’ascolto della Parola come alternativa alla dimensione celebrativa e alla centralità eucaristica. Trovo infatti proprio in un certo modo di praticare il celebrare la riprova conclamata della difficoltà spirituale di fermarsi su un ascolto attento di Dio che parla. E un certo modo di celebrare a cui mi riferisco sono quelle che chiamerei celebrazioni “strumentali”. È chiaro che si può e si deve celebrare in maniera spiritualmente adeguata in tutti i tipi di celebrazione ed è necessario tenere presenti ricorrenze e circostanze; mi chiedo però quanto si riesca a farlo se le celebrazioni prevalentemente sono piegate a qualcosa di estrinseco, buono ma più o meno estrinseco. Gli esempi sono sotto i nostri occhi. La Messa sembra servire sempre a celebrare qualcosa o qualcuno, vivo o morto che sia. Ci vuole sempre un’occasione, un’intenzione, una determinata presenza, per celebrare la Messa e, viceversa, quando si vuole sottolineare qualcosa, ecco, sembra naturale farlo con una Messa. Non ci vuole niente a inserire la Messa in un programma farcito di mille cose. Ci stiamo quasi disabituando dal celebrare solo per celebrare, solo per ciò che si celebra, l’Eucaristia e il suo significato intrinseco di rinnovazione dell’evento pasquale, di riconciliazione di Dio in Cristo con noi, con l’umanità, con il mondo, di comunione riscoperta e sempre di nuovo ricevuta. Tutto questo lo crediamo, certamente, ma è così ovvio che quasi scompare, come tutte le cose che sono considerate importanti in astratto, in linea di principio (come si dice), perché poi ciò che conta sono le cose concrete che trattiamo giorno per giorno o domenica per domenica. Rimane attuale lo slogan che forse amiamo ripetere ma senza trarne le conseguenze: meno messe e più Messa.

Le due cose, dunque, vanno di pari passo: crescerà il nostro senso della Parola e dell’ascolto, quando crescerà il nostro senso non occasionale o strumentale dell’Eucaristia, e viceversa. A volte sogno o mi immagino di poter condividere la lectio divina, o comunque una riflessione e una preghiera comuni su un percorso biblico con un gruppo di presbiteri e di diaconi, se non con tutti loro, senza altro scopo se non quello di maturare insieme una coscienza di fede alimentata dalla Scrittura e dalla preghiera, per se stesse, senza altri scopi. Eh, ma ci sono sempre tante cose da fare! Vero, ma bisogna pur sempre fare delle scelte e organizzarsi, e questo dipende da noi. Se tra le cose urgenti e le cose importanti, scegliamo sempre quelle urgenti, alla fine scopriremo che non serviranno a niente nemmeno quelle e che non avremo concluso nulla, né di urgente né di importante.

Altrove ho fatto un tentativo di darci in gruppo un impegno mensile, nel quale uno dei partecipanti presentava un libro, conosciuto e magari letto da tutti, per riflettere insieme. Sarà velleitario, ma non è necessariamente intellettualistico, perché il pensiero è una cosa seria, e tocca tutti i livelli sociali e i gradi di cultura, non importa quali titoli le persone abbiano conseguito. D’altra parte, tutti abbiamo esperienza di persone semplici, dotate di grande capacità di intuito e di saggezza, cose che non vengono da sé, ma hanno bisogno di essere coltivate, e quindi sono frutto di una cura assidua del proprio mondo interiore. Che cosa coltiviamo noi? Io parlo esattamente di questo, di coltivare il proprio cuore, la propria mente, e quindi la propria fede, la propria spiritualità, e farlo insieme, aiutandoci. Altrimenti ci riduciamo a praticoni che sbrigano faccende ma non sanno dare un senso vivo alla propria vita né aiutare gli altri a farlo. Ed è questo senso che ultimamente la gente cerca e che alla fine – se l’hanno acquisito – luccica negli occhi e nel cuore delle persone, nei momenti e nei passaggi significativi della loro vita, dalla nascita alla morte.

L’esigenza dell’ascolto di Dio, colta dentro questa densità di visione, è destinata a rimanere al centro della nostra attenzione. E colgo tale esigenza particolarmente consona con il momento che attraversiamo. Possiamo tenere il passo con la drammaticità di quanto accade o minaccia di accadere (e su questo voglio far notare che all’orizzonte non ci sono solo le nubi di un ritorno dell’epidemia o della esplosione di altre epidemie, ma immediatamente senz’altro quelle delle conseguenze sociali dell’epidemia che solo in parte abbiamo alle spalle), solo se cerchiamo di ascoltare, pregare, riflettere insieme, aiutandoci poi a scegliere e a lavorare insieme. Si lavora insieme con profitto e soddisfazione solo con l’accordo dei cuori. E l’accordo dei cuori nasce dalla Parola e dallo Spirito, non dalla nostra volubile buona volontà!

L’essenziale e la vita cristiana: ascolto e accompagnamento

Insieme attorno all’essenziale: questo potrebbe essere il nostro slogan per il futuro, a cominciare dal prossimo anno. Vi confesso che sono stanco – e non manco di dirlo a qualche confratello vescovo – di vedere la pastorale e la sua programmazione ridotta a rincorsa di un tema dopo l’altro. Non è questa la visione più consona al senso del cammino di fede del singolo come di una comunità. I temi sono a servizio di un cammino che deve trovare sempre di nuovo la direzione e la motivazione del suo procedere in avanti. Così ho inteso e intendo quelli che chiamiamo orientamenti pastorali (e non è casuale la scelta delle parole).

Qual è il tema vero, il tema di fondo di tutti gli orientamenti pastorali? E perché insistere sul binomio Parola ed Eucaristia? Perché il tema di fondo è uno solo: la vita cristiana, la vita cristiana ordinaria, quotidiana: aiutare a scoprire la vita cristiana e aiutare a vivere la vita cristiana. Sta tutto qui. I modi poi devono essere necessariamente tanti in rapporto a persone, situazioni e tempi, ma quello che dobbiamo sottolineare e perseguire sta dentro l’articolazione di aiutare a scoprire e aiutare a vivere da cristiani. Non sempre la distanza è così grande, ma comprendiamo che prima si arriva a scoprire e poi si cerca di mantenere vivo ciò che si è scoperto. Aiutiamo a vivere quelli che sono i membri ordinari (sempre di meno!) delle nostre comunità parrocchiali. Ma questo non basta. Dobbiamo aiutare a scoprire la vita cristiana quelli che non la conoscono o non vi sono entrati ancora adeguatamente. E chi sono quelli che non la conoscono? Soprattutto le nuove generazioni, anche se non solo esse. Perfino i bambini e i ragazzi che hanno avuto la fortuna di crescere in una famiglia convintamente cristiana hanno bisogno di essere aiutati a scoprire la bellezza della vita cristiana per poterla abbracciare. E che cosa è il cosiddetto “Progetto ZeroDiciotto” se non questo aiuto necessario? Dedicare qualche anno (a volte si riduce perfino a qualche mese!) polarizzato dal sacramento-festeggiamento (cosa buona la festa, per carità, guai a demonizzarla! E non intendo certo farlo) non basta per nulla a far scoprire e abbracciare la bellezza della vita cristiana.

In questa maniera, ascolto della Parola e accompagnamento alla vita cristiana delle nuove generazioni, nel più vasto impegno del ministero pastorale, diventano i poli entro i quali sembra doversi condurre il nostro cammino. L’anno prossimo vogliamo continuare il nostro cammino tenendo vive queste attenzioni di fondo con alcune opzioni privilegiate che rispondono alle circostanze particolari nelle quali ci troviamo.

Riprendere l’anno interrotto e il cammino con il Progetto ZeroDiciotto

E la prima circostanza è determinata dal fatto che dai primi di marzo scorso abbiamo dovuto sospendere ogni attività ordinaria. Questo non ha impedito di esprimere un impegno ricco e creativo da parte di molti di voi per assicurare la cura pastorale possibile nei confronti delle famiglie nelle loro case e in particolare dei ragazzi che hanno dovuto interrompere gli incontri di catechesi. Spesso i risultati sono stati confortanti. Noi crediamo che le vie misteriose di Dio hanno consentito a molti dei nostri fedeli di conservare e rafforzare la fede, come pure a molti non praticanti di risentire il fascino della preghiera e della ricerca di Dio. Non è tempo di tirare somme, ma di riprendere il cammino bruscamente interrotto.

Proprio per questo l’anno prossimo dobbiamo cercare i modi per continuare a prenderci cura dei più piccoli, prolungando quanto ho presentato negli orientamenti sulla pastorale dell’infanzia di quest’anno. Il prolungamento di questo impegno diventa poi espressione di quel più vasto intendimento di lavorare in modo organico per accogliere e accompagnare le nuove generazioni dalla prima infanzia alla maturità. A settembre disporremo dello schema completo del “Progetto ZeroDiciotto”, che il gruppo di lavoro sta completando. Si è trattato di una vera e propria impresa, che a partire dal lungo lavoro di preparazione nelle varie fasi che conosciamo dalla Commissione statuti e decreti, alle tre commissioni per fasce di età, al coinvolgimento di ministri ordinati, catechisti e famiglie delle foranie, ha portato alla costituzione del gruppo di lavoro che ora ha quasi completato la redazione del progetto. Alla sua presentazione dedicheremo lo spazio necessario all’inizio del nuovo anno pastorale. Quel che da subito dobbiamo tenere presente riguarda il primo compito di fronte ad esso, e cioè il compito formativo, cosa che richiederà l’attenzione maggiore fin dall’inizio, ma non solo all’inizio.

Il metodo: lavorare insieme

Questo dunque il contenuto del nostro cammino pastorale dell’anno prossimo. Una parola non secondaria richiede però il metodo. Appare sempre più forte l’istanza della partecipazione e della condivisione. Tutte le attività pastorali lo richiedono e, tra di esse, l’accompagnamento delle nuove generazioni sulle linee del progetto, il quale coinvolge in maniera particolare e in misura differente, a seconda dell’età dei bambini e dei ragazzi nella loro crescita, in primo luogo le famiglie, ma poi anche tutti i collaboratori pastorali, se la scoperta della vita cristiana deve avvenire nella Chiesa, cioè in una comunità viva conosciuta e vissuta come una rete di credenti che si vogliono bene nel nome di Gesù e hanno cura gli uni degli altri, come hanno cura pure dei nuovi che ad essa vengono presentati o si accostano.

Per tendere a questa meta di collaborazione e di comunione nelle comunità parrocchiali, c’è bisogno anche a livello diocesano di un indirizzo che ordinatamente e sistematicamente promuova in maniera integrata tutte le iniziative diocesane degli uffici pastorali, secondo le linee indicate dal vescovo insieme agli organismi di partecipazione. È per questo motivo che con il mese di settembre nominerò un coordinatore degli uffici pastorali e costituirò un coordinamento pastorale da lui guidato e composto dai direttori degli uffici dedicati ai pilastri dell’azione pastorale della Chiesa, e cioè la catechesi, la liturgia e la carità. Ci sono già stati in questi anni delle iniziative nate e condotte da diversi uffici insieme; ora questo metodo deve diventare sempre di più prassi ordinaria. In questo sforzo di convergenza potrà crescere ulteriormente l’unità e la comunione nella nostra Chiesa. Se non c’è unità o almeno se non si tende sinceramente alla comunione, la nostra parola è screditata e vanificata, e la nostra stessa vocazione negata in radice.

È in questo spirito che desidero rafforzare un altro livello di pastorale integrata e promossa in senso sinodale. Avete potuto notare che con la nomina dei nuovi vicari foranei, più che in passato ho preso l’iniziativa di incontrarli e di condividere con loro le varie attività diocesane e quelle comuni delle parrocchie. Ho maturato la consapevolezza che anche questo deve diventare un metodo stabile di lavoro, perché ne vedo gli effetti positivi nella comunicazione e nella condivisione tra le varie componenti della comunità diocesana. Anche questo aspetto deve essere perfezionato. E alcuni aspetti concreti che ora ritengo opportuno richiamare, ne sono la dimostrazione concreta. Abbiamo visto infatti in questi mesi come sia stata utile la condivisione con loro, e anche l’ultimo passaggio riguardante le Prime Comunioni ha consentito di adottare una linea comune. A questo proposito ho potuto osservare un limite che adesso è tempo di superare; infatti deve diventare sistematico che, prima che al livello  di pastorale diocesana, le conclusioni siano riportate dal centro diocesi alle parrocchie, le questioni vengano esaminate dai preti delle foranie perché le varie proposte possano essere vagliate e decise con una più vasta intesa e condivisione.

La prima applicazione di questo metodo sarà fatta ai primi di settembre, quando chiederò ai vicari foranei di raccogliere le proposte del clero circa la celebrazione delle cresime. Finora, lo sapete, non abbiamo potuto prendere nessuna iniziativa al riguardo perché il Protocollo espressamente la rinviava. Adesso attendiamo un allentamento in tal senso, e comunque è sperabile che a settembre la situazione risulti più chiara per vedere come procedere. Al riguardo desidero aggiungere una parola: obiettivamente l’onere di preparare e celebrare prime Comunioni e Cresime si presenta davvero faticoso quest’anno, per le ragioni che ben conosciamo. Tuttavia vorrei pregarvi di non farvi assorbire da tali questioni al punto da permettere loro di oscurare tutto il resto, e soprattutto di farvi perdere la serenità d’animo e la lucidità del giudizio. Ricordiamo: non confondiamo le cose urgenti con quelle importanti.

Tutto questo ho voluto condividere con voi alla conclusione dell’anno pastorale 2019-2020 e in vista del 2020-2021, al quale vi chiedo di cominciare a prepararvi nello spirito delle cose che vi sto dicendo. A settembre troveremo occasioni e modalità per intraprende il nuovo tratto di percorso pastorale diocesano con più precisione sulle cose da fare, ma ancora prima con più chiarezza sulla meta a cui tendere e sul modo di andarle incontro.