Omelia Veglia di Pentecoste (23/05/2015 – Latina)

24-05-2015

OMELIA

Veglia di Pentecoste

Latina, 23 maggio 2015

+ Mariano Crociata

 

In tutte le Chiese d’Italia stasera si veglia nell’attesa di una rinnovata Pentecoste e si prega per i cristiani martiri, vittime di una follia omicida che si ammanta di falsa religiosità ma in realtà si nutre di rozzo fanatismo, di odio per il diverso, di lotta spietata per il potere, di piacere sadico per la violenza e la distruzione di ogni elemento di umanità e di cultura. Se ci fermiamo per un attimo a riflettere, ci sentiamo impotenti e come paralizzati di fronte a tanta efferatezza, incapaci di articolare non solo una reazione, ma spesso perfino un giudizio proporzionato all’enormità di ciò che accade sotto i nostri occhi. Abbiamo bisogno di capire; abbiamo bisogno di pensare; perciò ricominciamo dalla preghiera. Preghiera per loro, innanzitutto: i martiri; ma poi anche per le innumerevoli folle di perseguitati, di straziati e violati nel corpo, nella famiglia, nelle relazioni, nella casa e nell’ambiente, nella loro coscienza di esseri umani e di credenti. Preghiera, infine, anche per i persecutori, memori del comando del Signore (Mt 5,44).

La nostra preghiera si leva nella certezza incrollabile della potenza di ogni invocazione che sale da un cuore e da una comunità che crede. Il Signore è fedele alle sue promesse e ascolterà la nostra accorata implorazione. Siamo invitati a penetrare e fare più intimamente nostro il senso del vegliare e pregare a Pentecoste.

Lo Spirito Santo è il senso e l’anima di ciò che siamo e facciamo. La storia della salvezza che abbiamo brevemente ripercorso nelle letture bibliche ci lascia cogliere la sua presenza segreta al cuore di ogni cammino guidato da Dio e attuato dal suo Cristo, il Verbo eterno umanato per noi. L’anelito a incontrare Gesù, in cui si condensa anche il progetto del nostro cammino pastorale diocesano, nasce interamente dalla sua ispirazione. In particolare, l’ascolto – che ha segnato l’impegno di quest’anno – solo lo Spirito può renderlo possibile. Ci rendiamo conto – in modo particolare a questa tappa del nostro percorso – che in lui si compie l’evento del parlare di Dio e il miracolo dell’ascolto: evento quanto mai esemplare nel libro sacro, la Scrittura santa che noi accostiamo quotidianamente come riferimento vitale per la nostra esistenza credente. È stato lo Spirito a suscitare e ispirare la schiera incalcolabile di credenti che si sono fatti docili strumenti della sua divina attestazione come veri autori della pagina sacra, alla quale torniamo ad attingere come alla sorgente viva di ogni sapienza e possibilità di salvezza. Su ogni pagina ci chiniamo riconoscendola ispirata e lasciandocene ispirare, con il desiderio vivo, esso stesso già frutto dello Spirito, di riuscire ancor meglio a credere, sperare, amare, in una parola ad ascoltare ciò che egli vuole dire alla Chiesa e ai credenti.

È all’opera un mistero dell’ascolto, cioè un’iniziativa operosa di Dio col suo Spirito che lentamente ma efficacemente rende attenti e docili i nostri cuori al Verbo che non cessa di incarnarsi, morire e risorgere in noi e con noi. Quando riuscirà davvero lo Spirito a rendere morbidi i nostri cuori, duttili le nostre menti, appassionato il nostro desiderio di incontrare Cristo, fervorosa la nostra preghiera, puro il nostro amore, disinteressato il nostro agire per la gloria di Dio e il bene dei fratelli? Quando riuscirà a purificarci e sanarci, a scaldarci e a scioglierci, a piegarci, raddrizzarci e aprirci veramente a Dio? Lui lo sa! Noi lo speriamo, lo chiediamo, lo prepariamo, e così facendo lo sentiamo già all’opera in noi e in mezzo a noi. Le storture e le deformità che ci strutturano fino a diventare come una seconda irriformabile natura, i torti e le offese che hanno ridotto in rovina le nostre relazioni, tutto sarà ridisegnato in una figura nuova di creatura redenta e in un tessuto di rapporti improntati alla fraternità e alla comunione. Solo, dobbiamo chiedere e imparare la docilità interiore ed esteriore allo Spirito, lasciare che ci ispiri e che trovi in noi attenzione, disponibilità a cambiare, a lasciarci mettere in discussione e correggere, ad abbattere le resistenze e a rafforzare le buone ispirazioni, gli slanci di generosità, ogni desiderio e impegno di bene. Non viene da altro il suggerimento di costituire e consolidare una polarità integrativa e feconda tra Eucaristia e Parola, con una sede stabile di ascolto e discernimento che maturi la coscienza credente e renda le comunità – a cominciare da quelle parrocchiali – veri soggetti collettivi in comunione e non mere aggregazioni funzionali per occasionali bisogni religiosi.

Ma perché una tale maturazione si compia, si rende necessario percorrere l’intero ciclo della Parola e dell’ascolto. Se qualcuno pensa che tale ciclo si risolva nel circuito tra pagina scritta e sua lettura, è in grave errore. Sarebbe come ridurre il Cristo Verbo di Dio alle parole che avrebbe pronunciato. Gesù non è meno Parola di Dio quando agisce di quando parla. La sua presenza, il suo morire e risorgere, gli effetti della sua storia, insomma tutto in lui è Parola di Dio e tutto chiede ascolto. La storia è ormai tutta innervata della sua presenza e del suo dinamismo pasquale. L’abbiamo appena sentito: «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi». E che cosa sono le opposizioni e le indifferenze che la nostra fede incontra in noi e attorno a noi? Che cosa le persecuzioni a cui sono sottoposti tanti cristiani? Che cosa le ingiustizie e il male che non cessano di essere perpetrati contro persone inconsapevoli e innocenti, se non le prove di una lotta drammatica che, contro ogni apparenza, conduce alla inesorabile affermazione della vita sulla morte, del bene sul male, dello Spirito del Risorto su ogni malvagità e nequizia? L’ascoltare credente non è allora solo questione di parole e di libri, ma anche di vita e di storia. Esso abbraccia, insieme alla recezione attenta e alla interiorizzazione, la risposta, la corrispondenza, il giudizio, la decisione, l’iniziativa; in altre parole il discernimento, la conversione, l’annuncio.

Qualcuno pensa che i martiri per i quali preghiamo possano rimanere l’oggetto di un pietoso e magari commosso pensiero che raccomanda a Dio la loro vicenda? Sarebbe, questo, ben povera cosa, seppure commendevole. I martiri per i quali preghiamo sono parte di noi, nostre membra, pietre vive ed eccelse dell’edificio ecclesiale, la porzione più nobile del corpo di Cristo. Ancora una volta si tratta di noi: con loro anche noi entriamo in gioco; e se non lo vogliamo comprendere e accettare, sono la nostra fede e il nostro ascolto a venirne compromessi. I nostri fratelli e le nostre sorelle martirizzati e perseguitati sono la parte migliore di noi, sono il frutto più maturo dell’azione dello Spirito. Essi partecipano di Cristo nella sua dimensione più intima e profonda, e cioè la morte e la risurrezione; essi sono con lui sulla croce e nella sua gloria, alla destra del Padre; essi sono quelli che si sono lasciati plasmare dallo Spirito fino a raggiungere la perfezione di chi si è fatto pienamente conformare al Cristo passando per il crogiuolo della passione e della morte fino alla glorificazione; essi hanno ascoltato fino in fondo, senza riserve o resistenze di sorta, la voce dello Spirito che porgeva tutta intera la verità del Verbo ora diventata sua carne proprio in loro. Essi sono ora il nostro modello, ci parlano e chiedono ascolto, non di quanto hanno pure da raccontarci, ma di ciò che lo Spirito sta dicendo e chiedendo a noi, qui e ora, in questa terra che ci circonda di blandizie, facendo delle sicurezze esteriori della nostra pratica religiosa l’insidia forse più pericolosa per la nostra fede, poiché tendente ad estenuare la nostra coscienza di credenti, omologandoci ad un mondo e a una cultura che in realtà di Dio e del suo Cristo non vogliono saperne proprio niente, ma si appagano di vederci assimilati alla loro logica sotto l’apparenza e la parvenza di una forma religiosa socialmente accreditata e accomodante.

I nostri fratelli e sorelle perseguitati e sacrificati per la nostra stessa fede ci chiedono di non vanificare il dono che abbiamo ricevuto nel battesimo e confermato nella cresima; ci chiedono di non rendere illusorio l’ascolto di Dio svuotandolo delle due dimensioni che sempre abbraccia e che lo rendono vero, e cioè l’annuncio e la testimonianza. Lo Spirito che anima e sostiene i martiri, porta in essi alla suprema espressione l’uscita da sé, il dono di sé, la potenza dell’annuncio e della testimonianza resa a Cristo con l’eloquenza assordante di un gesto di offerta che non ha bisogno di parole, perché con la forza della verità fatta carne, in cui si fondono silenzio e annuncio nella densità di significato del sacrificio supremo per fede e per amore, si mostra con insuperabile evidenza il frutto perfetto dello Spirito creatore che fa nuove tutte le cose, cancella il peccato ed edifica santi. La veglia di Pentecoste, quest’anno, ci conduce allora, per la testimonianza dei tanti cristiani martiri e perseguitati del nostro tempo, a continuare il cammino dell’ascolto perché evolva verso la forma di un annuncio e di una testimonianza in cui la Parola accolta si fa fermento di vita e di storia.