Omelia per l’anniversario della dedicazione della Cattedrale

Latina, cattedrale di San Marco, 18 dicembre 2013
16-06-2014

Ad attirare la nostra attenzione in questa celebrazione anniversaria è la coincidenza della nascita di una città e della dedicazione della sua chiesa cattedrale. Si tratta di una coincidenza non solo singolare ma anche unica. Essa ha indubbiamente una motivazione storica, che registra la volontà costruttiva, lo spirito di iniziativa, la determinazione dei protagonisti di quell’epoca. Guardata con gli occhi dell’oggi, tale coincidenza può accontentarsi di trovare giustificazione in un dato culturale ambientale insuperabile, in un tempo in cui essere cattolici in Italia era ancora abbastanza ovvio. A distanza di poco più di ottant’anni, è diventato ovvio il contrario, e cioè non essere cattolici, e nemmeno cristiani. Di qui la domanda: quella coincidenza tra fondazione della città e dedicazione della chiesa cattedrale si può considerare ormai insignificante, come un dato storico del passato ma senza più alcuna rilevanza per gli abitanti della Latina di oggi? Io sono convinto di no, se non altro perché la storia agisce nel presente, anche se non lo vogliamo, e la memoria fermenta il nostro pensiero e la nostra esperienza, perfino in ciò che potremmo volere di contrario rispetto al passato. Perciò bisogna misurarsi con quella parte di noi che le radici storiche contengono e rivelano, poiché rimuovere il rapporto con le origini è sempre deleterio per l’equilibrio della persona e per il benessere di una comunità. Non si tratta di essere costretti a conservare le stesse cose, ma a tenerne conto anche quando si tende a superarle o rinnegarle. La perdita della memoria e delle radici minaccia l’identità di una persona e di una comunità. E senza identità non c’è vita.

Nelle origini di questa città senso civico e coscienza cristiana si appartengono, al punto che non c’è l’una senza l’altra. L’indebolimento dell’uno danneggia e oscura l’altra, e viceversa. D’altra parte bisogna accettare l’affermarsi di un plurali-smo irriducibile e la crescita prepotente del senso della libertà, al punto che oggi si può solo scegliere di essere cristiani. E questa è una grande opportunità. Lo è soprattutto per noi credenti, che abbiamo la responsabilità e la possibilità di dimostrare l’attualità e la fecondità di essere cristiani oggi. Sta qui la sfida che ci si para dinanzi: mostrare la bellezza della nostra fede e la sua capacità di rendere più umana e vivibile la città di tutti. Come credenti non possiamo accontentarci di affermare il valore della fede come uno dei tanti valori oggi disponibili; abbiamo la pretesa di sostenere e testimoniare che bisogna non perdere di vista la sintonia originaria tra la fede cristiana e questa città. Non resta, dunque, che far affiorare il legame profondo che sussiste tra fede cristiana e città. È un legame che le letture della festa di oggi lasciano cautamente intravedere, soprattutto nel loro rimandare a uno spazio umano per Dio nel quale la persona non è oscurata ma pienamente affermata e riconosciuta. 

L’edificio chiesa ci trasmette fondamentalmente un messaggio: l’esistenza di uno spazio altro richiama all’esigenza di non farsi assorbire e fagocitare dal lavoro e dalle occupazioni e preoccupazioni ordinarie. C’è bisogno di fare spazio a Dio per rimanere umani, per salvare l’equilibrio e il senso della vita, e anche lo stesso lavoro e impegno quotidiano. La chiesa-edificio è il simbolo di una esperienza di vita che ha bisogno di uno squarcio, di una apertura sull’oltre. Chiusi dentro l’orizzonte terreno e materiale rischiamo l’asfissia, non solo spirituale, poiché quando si perde il senso della vita comincia inesorabile l’autodistruzione. 

Le letture bibliche ci ricordano, al riguardo, che il vero culto, che si svolge nell’edificio sacro, deve essere compiuto in spirito e verità (cf. Gv 3,9c-11.16-17), cioè nell’ascolto e nel nome di Cristo Signore e nella forza del suo Santo Spirito, e quindi nella comunità che coltiva la fede genuina nella Trinità Santa e nella incar-nazione del Verbo.

In secondo luogo ci dicono che il culto che si celebra in chiesa mira a far crescere un altro tempio, quello fatto di persone, cioè noi credenti, chiamati a diventare abitazione del Dio vivente (cf. 1Cor 3,9c-11.16-17), nell’esistenza personale dei singoli e nelle relazioni all’interno della comunità.

Infine, il tempio vivo di Dio che siamo noi, animati dallo Spirito, diventa una fonte di vita – di acqua viva (cf. Ez 47,1-8.9-12) – per tutti, fermento anche per una comunità civile che ha bisogno di ideali, di modelli, di relazioni nuove, con l’apporto dei credenti che si compone con quello di tutti, ma conservando la peculiarità delle sue radici e del suo legame con la città.

Di fronte a questa proposta, coerentemente testimoniata dalla comunità cristiana, quella coincidenza originaria tra fondazione e dedicazione può essere salvaguardata come annuncio da parte nostra e come condivisione da parte di tutti i nostri concittadini. Dobbiamo ritrovarci tutti dentro una storia che vuole guardare al futuro senza rinnegare il passato, per una comunità umana e civile in cui ognuno trovi il suo posto e tutti insieme possiamo contare su una solidarietà e una volontà di futuro in cui far sorgere progetti non meno ambiziosi di quelli che hanno dato origine alla nostra città.