Omelia per la Liturgia della domenica e benedizione del crisma (03/10/2020 – Cattedrale di S. Marco)

03-10-2020

OMELIA

Cattedrale di s. Marco, sabato 3 ottobre 2020

Liturgia della domenica e benedizione del crisma

+ Mariano Crociata

Quest’anno, per le note ragioni, non abbiamo potuto celebrare la Messa del crisma. Abbiamo voluto cogliere l’occasione di questa celebrazione vigiliare di una domenica del tempo ordinario per benedire il sacro crisma, che rappresenta la materia necessaria, insieme ai gesti e alle parole che la liturgia prevede, per la celebrazione dei sacramenti del battesimo, della cresima e dell’ordine sacro, nel grado del presbiterato e dell’episcopato. Questa circostanza, piuttosto estrinseca, conferisce comunque un significato particolare alla nostra celebrazione di stasera, perché ci aiuta a compenetrarci del mistero cristiano, che vive e cresce nel cuore dei credenti e delle nostre comunità in maniera speciale attraverso i sacramenti che il Signore ci ha dato come segni della sua azione potente che plasma e trasforma le nostre vite. Siamo qui a implorare che questa sua azione potente, sacramentale appunto, continui nella nostra Chiesa e trovi risposta pronta nella fede e nella vita dei nostri cristiani e di ciascuno di noi.

Il messaggio che viene dalle letture di oggi illumina con una luce singolare la circostanza di cui ho appena detto, perché aiuta a comprendere la situazione nella quale l’azione potente del Signore si colloca. Isaia presenta il popolo come la vigna che il padrone ha piantato e curato, ma che ciononostante alla fine produce degli acini acerbi, su cui si scaglia l’ira del padrone. In questo modo la vigna dipinge un popolo ingrato e infedele; in Matteo, invece, il popolo è rappresentato dai contadini ai quali è stata affidata dal padrone la vigna, che simboleggia i beni più preziosi, la vita, l’elezione, l’alleanza e tutto ciò che vi è collegato. In questo caso il rifiuto di Dio arriva alla uccisione dei suoi inviati, i profeti e per ultimo lo stesso Figlio.

Mediante l’immagine della vigna la Scrittura, in queste due pagine, mette in luce la nostra relazione con il Signore. Anche noi abbiamo ricevuto tanto, tanti doni straordinari, dalla vita alla fede insieme a tutto ciò che rende bella l’esistenza. Non stiamo dicendo che non ci mancano problemi e difficoltà; stiamo dicendo che comunque i doni ricevuti sono incommensurabili rispetto al nulla da cui veniamo. Ed ecco qui il punto: il nulla da cui veniamo. Come la vigna esiste dal momento che il padrone la pianta, e – per i contadini – dal momento in cui il padrone la affida loro, così la vita, e tutto ciò che la riempie e la arricchisce, per noi esiste dal momento che noi la riceviamo, perché non ce la diamo da noi stessi

La riceviamo: proprio questa, che dovrebbe essere una evidenza primaria, oggi – nei fatti più che con le parole – è messa in discussione frontalmente. Senza arrivare alle esasperazioni di chi nei laboratori vuole ricreare la vita, con gli apparati biotecnologici sempre più sofisticati che vengono approntati allo scopo, tutti noi – nel piccolo e nel grande – viviamo la stessa tentazione, la presunzione di farci i padroni assoluti della nostra vita. Noi ci guardiamo attorno e vediamo quanti sono i pericoli che incombono, ma non ci avvediamo forse del più grave, o meglio del pericolo da cui sono generati una infinità di altri. E la cosa più grave che possiamo commettere e che stiamo commettendo è quello di tagliare Dio fuori dalla nostra vita, e di pretendere di mettere noi al suo posto, per decidere che cosa è bene e che cosa è male, e dominare come se noi fossimo l’origine di noi stessi, i padroni della vita. Nemmeno la minaccia che continua a rappresentare l’invisibile presenza di un virus che sta destrutturando le nostre società e le nostre economie, riesce a darci la misura della nostra inconsistenza e della nostra fragilità, soprattutto della nostra dipendenza. Noi siamo, sì, liberi, autonomi, capaci di condurci e di decidere di noi stessi, ma questa stessa capacità l’abbiamo ricevuta, tutta intera. Questo vuol dire che saremo tanto più liberi, quanto più ci terremo uniti alla fonte della nostra libertà, del nostro essere, della nostra vita. E invece vediamo crescere la pretesa folle di tagliarci le radici, di tagliare il ramo dell’albero su cui siamo seduti, perché questa è la direzione che stanno prendendo tanti modi di pensare e di vivere oggi.

Non c’è dubbio che nessuno si sogna – almeno nella maggioranza dei casi – di espellere espressamente Dio e Cristo dalla propria vita, ma posso dirvi che ci sono, anche tra di noi presenti, modi di vivere e di decidere e di scegliere, che nei fatti vengono compiuti come se Dio e Cristo non esistessero. È in questione, dunque, la nostra relazione con Dio. Voglio essere più preciso, perché noi – e non del tutto erroneamente – pensiamo a quante volte Dio e il mondo religioso che lo circonda vengono ricordati e menzionati nelle nostre giornate. Questo sarà vero, in maniera differente per ciascuno. Dobbiamo confessare, nondimeno, che ci sono settori, più o meno estesi, della nostra vita e della nostra coscienza, nei quali non vogliamo che Dio, in alcun modo, entri. Pensiamo alla gestione dei pensieri e dei sentimenti, delle nostre relazioni personali, dei nostri soldi e dei nostri affari, per non dire di altro che vediamo attecchire come parassita in noi e attorno a noi.

Dunque la nostra relazione con Dio è la questione che il Signore oggi pone: una relazione vera e autentica, la nostra con lui, o una relazione strumentale e a fasi alterne, accomodante con le riserve a cui siamo abbarbicati su alcuni angoli più o meno oscuri della nostra persona e della nostra vita?

Il sacro crisma – per tornare alla circostanza che ci ha riunito stasera – che cosa è se non il segno di una consacrazione che viene compiuta e abbracciata attraverso i sacramenti che anche suo tramite vengono celebrati su di noi? Noi siamo persone consacrate a Dio, tutti nel battesimo e nella cresima, alcuni anche nell’ordine. Ma consacrati vuol dire destinati, votati, riservati a. Noi dovremmo vivere così, continuamente e in tutto destinati, votati, riservati a Dio e al suo Cristo, nella Chiesa. E in mezzo a una società che tende sempre di più a dimenticarsi di Dio e a rimuoverlo dalla propria coscienza, la reazione che dobbiamo avere non è quella di chi si sente superiore e giudica e condanna, ma quella di chi testimonia e annuncia, con dolcezza e rispetto, come dice san Pietro (1Pt 3,16), che vivere consacrati a Dio, legati e dipendenti da lui, rende la vita veramente piena, libera e felice.