Omelia per la festa diocesana della famiglia (30/05/2021, Parrocchia S. Tommaso d’Aquino in Pontenuovo)

30-05-2021

OMELIA

Domenica 30 maggio 2021, solennità della SS. Trinità

Parrocchia S. Tommaso d’Aquino, festa diocesana della famiglia

+ Mariano Crociata

È significativo il titolo dato quest’anno alla Festa diocesana della famiglia: “Con cuore di Padre”. Il “cuore del Padre” apre per noi uno squarcio sul mistero di Dio e sulla grazia della famiglia.

Il nostro Dio, il Dio che ci ha rivelato Gesù, ha un cuore, perché è Padre. Il nostro Padre Dio ha un cuore, infinito, pieno di una sovrabbondanza d’amore che non può restare solo per se stesso, ma ha bisogno di generare il Figlio nell’amore dello Spirito: nello Spirito il Padre è tutto per il Figlio, e il Figlio tutto per il Padre. La Trinità non è perciò una questione numerica, ma di amore e di relazione. La Trinità è l’unica vita possibile a un Dio che è Padre, il cui amore infinito non può essere contenuto e chiuso in una impossibile solitudine, ma ha necessità di trasfondersi totalmente nel Figlio con una potenza d’amore che è esso stesso Persona, la Persona dello Spirito Santo.

La stessa sovrabbondanza d’amore, con sovrana libertà decide di espandersi fuori di sé, e lo fa con la creazione e nella storia della salvezza. La pagina del Deuteronomio ci fa riflettere su questa storia: una storia di elezione, di amore e di misericordia, che vede alla fine inviato anche il Figlio, il quale dalla sua umanità crocifissa e risorta effonderà lo Spirito perché continui per tutta la storia la sua opera.

Dio “lavora” (fa la storia) per giungere a una storia di libera reciprocità tra Lui e il suo popolo, tra Lui e l’umanità: ecco perché una storia di elezione, di amore e di misericordia. C’è all’inizio una incommensurabile unilateralità: tutto viene da Dio e sta dalla parte di Dio, anche se il popolo/l’uomo rimane insensibile e addirittura recalcitra e si rifiuta. Ma la storia della salvezza va comunque avanti, per l’ostinata volontà di Dio di recuperare la creatura a una libera risposta d’amore. Come in una ‘vaccinazione’ progressiva, che alla fine rende tutti immuni dal peccato e capaci di rispondere all’amore di Dio con un amore libero e pieno. Tutti siamo dentro questa storia.

La famiglia è un riflesso e un paradigma esemplare della storia di Dio con il suo popolo e con l’umanità intera: anche essa nasce da una elezione, da un amore esclusivo e totale, ma può andare avanti solo in un amore di misericordia (= portare nel cuore le miserie proprie e altrui con la volontà e lo sforzo di superarle e annullarle). Anch’essa tende alla piena e perfetta reciprocità, ma chissà quanto tempo e quali trasformazioni richiede una tale meta nei singoli irripetibili casi di persone e di vite.

Un segreto sta nel capire che non si può pretendere all’inizio ciò che sta solo alla fine; e sta nell’accettare che nella vita di una coppia e di una famiglia ci siano tempi e fasi di non reciprocità. La sfida consiste nella capacità di attendere e di farlo a quali condizioni. In questo, là dove ci troviamo di fronte al fallimento, nessuno può ergersi a giudice con uno sguardo dall’esterno destinato a rimanere sempre superficiale.

È certa però una cosa: nella vita di coppia bisogna partire con il piede giusto, e il piede giusto è quella che chiamerei la forma attiva, non quella passiva, o l’atteggiamento attivo e non quello passivo. La forma passiva la vedo là dove si accampa unilateralmente la pretesa che il matrimonio sia solo luogo di soddisfacimento dei propri bisogni e di appagamento di tutte le proprie esigenze; è insomma quella che fa del matrimonio uno spazio di consumo e di sicurezza a spese dell’altro/a o degli altri. La forma attiva consiste nel capire e nell’accettare che chi si sposa si trova dinanzi a un progetto di vita tutto da costruire e da abbracciare sempre di nuovo ogni giorno, prima personalmente e poi insieme, non condizionandolo sempre e in ogni cosa alla iniziativa o alla risposta dell’altro.

Il matrimonio è l’apprendistato della vera maturità, quella che consiste nell’uscire da sé superando infantilismo e adolescenza, che coincidono nel percepirsi e nel vivere in rapporto agli altri ponendosi come il centro delle attenzioni e delle gratificazioni sempre e con tutti. L’adulto credente è uno che – come persona umana e come cristiano – sente la vita come compito di dedizione e di aiuto ad altri, e di costruzione di una società e di un mondo migliori che cominciano dalla famiglia; nella famiglia infatti si fa l’apprendistato del valore della persona e della vita, e della natura e della qualità delle relazioni. Un tale adulto è capace di progetto e di dedizione, se necessario di sacrificio e di attesa, perché si compia il tempo della reciprocità, a cominciare dalla famiglia.

Ma perché questo avvenga c’è bisogno del battesimo, come ci ricorda il Vangelo di Matteo: ci vuole l’immersione nella Trinità, entrare a far parte della vita e delle relazioni delle Persone divine. Solo chi si bagna incessantemente nella comunione della vita delle Persone divine, può vivere in una attiva dedizione e in una paziente attesa di una compiuta reciprocità di dono e di amore. Chiediamo alla comunione d’amore delle Persone divina di capire e di imparare a vivere seconda tale attiva dedizione e paziente attesa.