Omelia per la celebrazione in suffragio dei vescovi e dei presbiteri della diocesi defunti

Latina, 14/11/2014
14-11-2014

OMELIA

Celebrazione per i vescovi e i presbiteri defunti

Latina, Parrocchia del S. Cuore

14 novembre 2014

+ Mariano Crociata

È importante che teniamo fede a questo appuntamento celebrativo di suffragio per i vescovi e i presbiteri defunti della nostra diocesi, perché così facendo confessiamo ciò che crediamo su questo punto. Non è questione solo di memoria nei confronti dei confratelli che hanno lavorato, sofferto e gioito per questa nostra Chiesa, ma anche della presenza con cui ne accompagnano ancora oggi la vita. C’è una comunione di grazia che si effonde in fecondità spirituale e pastorale per noi e per le nostre comunità. È una comunione che affonda le sue radici nell’unico Spirito del Risorto e nell’unità del corpo ecclesiale che Cristo, capo e pastore supremo, concede alla nostra comunità diocesana. La storia spirituale della nostra Chiesa, così articolata nelle varie parti che via via sono venute a comporla, non attenua l’unità della comunione dei santi che la plasma ancor più oggi, lungo un cammino che tende verso la sua pienezza.

Coloro che ci hanno preceduto hanno bisogno della nostra preghiera quanto noi ne abbiamo della loro. Sarebbe un errore pensare questa celebrazione a senso unico, come se noi potessimo atteggiarci a detentori di qualche sicurezza o, peggio ancora, superiorità. In realtà siamo i più fragili, i più esposti alle intemperie della storia, e precisamente della storia spirituale, più esattamente, della storia della fede nella quale siamo immersi. In momenti come questo emerge a piena consapevolezza una comunione di santità, resa possibile dal Signore risorto nel quale formiamo tutti un solo corpo, in una circolarità che raccoglie e trascende il mondo delle nostre relazioni terrene. Quanto siamo poco saggi a rinchiuderci in esse, come se oltre i loro confini sensibili in realtà non ci sia altro di rilevante e significativo (magari con un rinvio verso un futuro indefinito!).

Abbiamo bisogno di indirizzare e ricevere preghiere, perché non perdiamo di vista che noi prolunghiamo un servizio e una storia di fede e di vita ecclesiale che non nascono con noi, e che non finiranno con noi. Siamo di passaggio, amministratori di beni e persone che infinitamente ci superano e ci sovrastano. Prendiamo esempio da chi ci ha preceduto, e se in qualche caso non c’è esempio da imitare, siamo certi che abbiamo bisogno di misericordia più di loro, e perciò ricordiamoci di lasciare alle generazioni che vengono un modello di vita che in qualche modo richiami quello evangelico.

Indirettamente, a suscitare pensieri di questo genere sono anche le letture bibliche di questa fase dell’anno liturgico. Soprattutto il Vangelo di oggi (Lc 17,26-37), che ci ammonisce a essere sempre vigilanti, pronti a lasciarci sorprendere dalla visita del Signore. Molte sono le curiosità che nascono, alla ricerca di rassicurazione su una visita che viene a sconvolgere abitudini, ritmi di vita, orizzonti di pensiero. Gesù insiste che ciò che basta è sapere che certamente verrà e tenersi pronti. E la prontezza e la vigilanza consistono nella disponibilità a perdere la propria vita, anzi a perderla giorno per giorno nel servizio richiesto, senza la preoccupazione dell’autoconservazione a tutti i costi. Su questo dobbiamo interrogarci senza sosta, poiché l’istinto di autoconservazione rischia, apertamente o in maniera subdola, di insinuarsi un po’ dovunque nella nostra coscienza e nelle nostre abitudini di vita. In realtà si è pronti se si è liberi da se stessi, se si riesce a dare liberamente ora ciò che dovremo cedere per necessità alla fine. C’è una tonalità escatologica che dovrebbe connotare sempre la nostra spiritualità e il nostro stile di vita; e invece spesso i nostri fedeli – e gli osservatori di ogni sorta – fanno fatica a vedere, dietro un regime di vita fatto di agi e sicurezze quando di questo si tratta, una tensione verso l’eterno e il vero definitivo. Pregare per quelli che non ci sono più dovrebbe ispirare pensieri di rinnovamento e di conversione profonda.

E con il brano della lettera di Giovanni (2Gv 1a.3-9) non mutiamo registro, poiché rimanere nella verità con una fede sincera nell’incarnazione del Verbo e nell’amore che verifica quella fede, non è possibile senza una tensione spirituale che proietti oltre l’immediato, verso l’eterno della risurrezione di Cristo.

Chiediamo al Signore e alla preghiera di quanti ci hanno preceduto di crescere nella libertà da noi stessi, per affidarci alla promessa di vita piena che il Signore fa a quanti non hanno paura di perdere la propria vita in questo mondo per lui e per i fratelli. Nel nostro pregare per loro, poi, alimentiamo la fiducia che la nostra sicurezza sta altrove, presso il Signore, al quale affidiamo ogni momento la nostra vita, rimanendo in ascolto di ogni parola e segno che egli voglia farci giungere, per prepararci al definitivo congiungimento con lui nella gloria.