Omelia per il 25° anniversario dell’ordinazione presbiterale di p. Bruno mustacchio (17/09/2020 – Borgo Montenero)

17-09-2020

OMELIA

Parrocchia S. Francesco, Borgo Montenero, 17 settembre 2020

25mo anniversario di ordinazione di p. Bruno Mustacchio

+ Mariano Crociata

In una festa così personale, come il venticinquesimo anniversario di ordinazione presbiterale, si intrecciano vicende private e storia ecclesiale nella vita di ogni prete. Questo vale oggi per te, caro p. Bruno, nelle circostanze della tua vita, lungo la quale si sono incrociati diversi aspetti: origine e legami in questo territorio, consacrazione religiosa, servizio pastorale, prima da religioso e ora da qualche anno in questa esperienza diocesana, che raccoglie il frutto di un ministero che è andato maturando nella comunità di Borgo Montenero che ti fa corona, insieme a noi, in questa felice ricorrenza. Ripercorrere il cammino compiuto è doveroso, ed è il tuo compito personale, che noi qui evochiamo per la risonanza ecclesiale che esso ha conosciuto e continua a esprimere.

Qualunque sia il bilancio provvisorio che tu nel tuo cuore sai di potere trarre, certamente tu per primo, ma con te quanti ti hanno conosciuto e ti vogliono bene, senti un senso di profonda gratitudine. Innanzitutto per il Signore. Perché ti ha chiamato e ti ha sostenuto in questi anni di ministero al servizio suo e del suo popolo. Non sono più tempi di retorica, questi, ma non possiamo esimerci dal ridirci quanto sia grande il dono del sacerdozio. Non dobbiamo aver timore di ripeterlo, non per vana esaltazione umana, ma per la grazia divina che non solo lo genera, ma soprattutto di esso si serve per immettere nel circuito personale e sociale della vita un flusso di bene e di amore che solo la potenza di Dio è capace di generare e attuare, e forse anche di discernere. Sì, perché troppo spesso il nostro sguardo piccino, e a volte anche meschino, si limita a vedere l’aspetto umano, che è sempre e comunque fragile a confronto con la grandezza di Dio e del suo amore; ma la cosa straordinaria è che Dio realmente si serve di questi strumenti umani segnati dal sacramento che sono i preti, per inondare di benedizione e di grazia le persone e le reti sociali, l’ambito privato e quello pubblico della vita dei credenti e dell’umanità intera.

Oggi dunque riprendiamo coscienza di questo e ne ringraziamo il Signore, grati a lui per tutto ciò che ha fatto tramite p. Bruno. Il nostro ringraziamento va, perciò, anche a lui personalmente, il quale – per la grazia del sacramento dell’ordine – non si è stancato di dire ogni giorno il suo sì, fino ad oggi, in un servizio assiduo e fedele. Il suo sguardo non si rivolge, perciò, soltanto indietro, ma deve dirigersi in avanti, verso il futuro. Proprio la celebrazione dell’anniversario diventa così dichiarazione di una intenzione determinata e di una volontà ferma di continuare a servire il Signore nei fratelli attraverso l’ascolto della Parola e la celebrazione dei sacramenti, attraverso la testimonianza personale e la cura dei piccoli e dei poveri, che sono particolarmente cari al cuore di Cristo. Così la nostra preghiera di ringraziamento si trasforma in implorazione di grazia ulteriore per il suo cammino futuro, augurio e sprone che la fedeltà professata fino ad oggi si moltiplichi e cresca nel tempo avvenire, in una dedizione appassionata al bene del popolo di Dio e della Chiesa.

La Chiesa, tutti noi, abbiamo bisogno di preti così, sinceramente dedicati e intimamente appassionati. Non è questo che in qualche ci chiede Gesù nella pagina un po’ sconcertante del Vangelo di oggi? Gesù non loda l’uomo religioso perbene, che può vantare una integrità morale inappuntabile; porta invece a modello la donna di strada, che lo ha incontrato e ha scoperto il vero amore. Dovrebbe insegnare molto a tutti noi questa pagina, che chiede a ogni discepolo di Gesù e ancora di più a ogni suo ministro più che un gelido formalismo religioso, per quanto irreprensibile, un amore sincero e appassionato, una dedizione viva e calorosa, una capacità di stabilire e coltivare relazioni a partire dalla relazione con lui, dall’accoglienza della sua persona e del suo amore.

Del resto Gesù non ci chiede di approntare atti eroici e un perfezionismo religioso formale; ci chiede di accogliere il suo amore perdonante che ci precede sempre. «Colui al quale si perdona poco, ama poco»: sembra strano, e invece dice una cosa semplice. Se uno pensa di avere tutto, di essere a posto, di non avere bisogno di niente e di nessuno, si sente in diritto di star bene per i fatti suoi, non sente nessun debito con nessuno. Ma questa, vuole dire Gesù, è una situazione del tutto falsa, perché tutto ciò che noi siamo e abbiamo, non l’abbiamo per nostra capacità o merito, ma l’abbiamo solo ricevuto. Di più: se noi ci sentiamo a posto e senza debiti, senza colpe e senza peccati (chi non dice, all’occorrenza: io non ho fatto nulla di male?), quale riconoscenza e debito può sentire anche nei confronti di Dio? La verità è che noi siamo tutto un debito: per il bene ricevuto e per il male commesso. Solo se prendiamo coscienza di questo, ci accorgiamo di quanto siamo amati da Dio e di quanto abbiamo bisogno di riamarlo in cambio. Ce lo insegna san Francesco, il quale non si stancava di lodare e ringraziare, sentendosi sempre in debito e inadeguato nella sua fede e nel suo amore di fronte all’amore ricevuto da Dio, che lui cantava così: Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene.

Un prete dovrebbe sempre sentire e vivere così, in una gratitudine infinita e sempre insoddisfatta, a confronto con un amore, come quello di Dio, che merita tutto e al di sopra di ogni altra creatura e di ogni altra cosa. Non abbiamo da trasmettere altro con il nostro ministero, caro p. Bruno. Come san Paolo, anche noi dobbiamo dire: «ho trasmesso, innanzitutto, ciò che anch’io ho ricevuto», e ciò che abbiamo ricevuto non è altro che il colmo dell’amore di Dio che si è manifestato e comunicato nella morte e nella risurrezione di Gesù.

Caro p. Bruno, ti auguriamo di così sempre sentire e credere, e con lo stesso amore continuare a servire Dio e il suo popolo.