Omelia Pellegrinaggio notturno Casa del martirio di S. Maria Goretti (27/06/2021 – Le Ferriere, Latina)

27-06-2021

OMELIA

Domenica (XIII TO B) 27 giugno 2021, Le Ferriere, Casa del martirio

+ Mariano Crociata

Per il secondo anno consecutivo, la celebrazione eucaristica a conclusione del pellegrinaggio notturno si compie senza pellegrinaggio. C’è, in questo nostro essere tornati a radunarci nell’ora convenzionale di quella conclusione, una tenace volontà di non disperdere il patrimonio spirituale che è stato accumulato da parte di tanti noi, fatto di sacrificio e di rinuncia, di preghiera e di vicinanza reciproca, di senso della precarietà dell’esistenza e di bisogno di penitenza e di rinnovamento di vita, soprattutto di un sentimento vivo di partecipazione al cammino di martirio e di santificazione di Maria Goretti, nella certezza di riceverne la grazia dei frutti che la sua testimonianza e la sua intercessione sicuramente ci concedono. Quest’anno, poi, la ricorrenza del trentesimo anniversario della visita di papa Giovanni Paolo II conferisce un respiro universale a una figura di santità che è affidata alla nostra cura senza che pretendiamo di rinchiuderla nel breve circuito delle nostre condivise manifestazioni devozionali, ma piuttosto allargando il senso della nostra fede e l’orizzonte della nostra vita cristiana a quanti nello spazio delle nostre relazioni e delle nostre conoscenze – se non anche a quelli di cui abbiamo notizia anche remota – sono provati dalla malattia e dalla perdita di persone care.

La stagione pandemica dalla quale speriamo di uscire è stata funestata da una sequela interminabile di malattie e di lutti che hanno colpito conoscenti e amici, se non anche congiunti e familiari. Proprio questa esperienza spinge a leggere e a sentire rivolta a noi la Parola di Dio di questa domenica e, in essa, la memoria che vogliamo fare di Maria Goretti.

C’è un percorso che possiamo cogliere in ambedue le vicende che vengono narrate nel vangelo, quella della donna malata e quella della bambina malata che muore. Tutto comincia con l’esperienza della malattia e del pericolo di morte. La vita di queste persone viene come scavata e svuotata dal dolore. È un dolore personale, strettamente fisico, ma è anche un dolore morale e spirituale delle persone care che vedono soffrire e si sentono impotenti. Quanto è diffusa questa esperienza! E non c’è da fare confronti tra chi soffre di più o di meno. Ogni dolore è solo e unico, sia provato nella propria carne sia osservato in una persona amata. Misurarsi con esso e affrontarlo è esigenza improrogabile. Anche se non mancano quelli che preferiscono girare lo sguardo altrove, distrarsi, evadere o semplicemente ribellarsi e disperarsi.

Sia la donna malata che il padre della bambina del vangelo si fanno carico del peso del dolore ma cercano anche un suo superamento, una via d’uscita. E la trovano pensando a Gesù. Chissà come l’avevano conosciuto o come erano stati raggiunti dalle notizie che ne avevano diffuso la fama; certo è che vedono in lui un motivo di speranza, sentono svegliarsi dentro una fiducia che diventa certezza, che cioè egli ha il potere di fare qualcosa, di intervenire in maniera risolutiva. È a questo punto che riscontriamo il passo decisivo: devo cercare un contatto con lui, devo assolutamente incontrarlo, toccarlo. Così almeno pensa la donna, mentre il capo della sinagoga gli chiede di venire a casa a guarire la figlia.

Abbiamo sentito come l’aver toccato il lembo della veste di Gesù ha innescato una comunicazione che la finissima sensibilità di Gesù trasforma in un incontro e in un dialogo di salvezza. Anche la bambina viene guarita, anzi risuscitata, attraverso un approfondimento della fede del padre, invitato a continuare a credere, contro l’opinione di tutti. Il momento risolutore sarà il contatto: Gesù che prende per mano la bambina. E poi la parola rivelatrice: io ti dico, àlzati! È un comando perentorio, il comando del Signore della vita che sconfigge la morte e fa risorgere. Ma la risurrezione avviene sia perché egli prende per mano e sia perché la fanciulla deve volere e decidersi ad alzarsi.

Ascoltando il vangelo, siamo tentati di rimanere un po’ disincantati, se non scettici. La morte e la malattia continuano a mietere vittime, e non se ne vedono molti di guariti, ben pochi poi miracolati e nessuno risuscitato. Che cosa ci vuole far capire allora il Signore? Ci vuole dire come possiamo vivere al meglio in una condizione ancora segnata dalla malattia e dalla morte, di cui anche lui è rimasto vittima (ha salvato gli altri, salvi se stesso, gli dicono da sotto la croce; ma egli è rimasto sulla croce, non ha cercato nessuna scorciatoia e nessun privilegio).

Come si vive al meglio questa nostra provata condizione umana? Innanzitutto continuando a credere, cioè continuando ad avere fiducia in Gesù e in Dio, senza stancarsi, nonostante la fatica, le delusioni, le insinuazioni di tanti, il cattivo esempio di quasi tutti. Perseverare nella fede: chi persevererà fino alla fine sarà salvo. Poi cercando il contatto con Gesù, un contatto fisico, concreto, sensibile, che coinvolga, cioè, tutta la nostra persona e la nostra umanità. In questo anno e mezzo abbiamo imparato a vederci in video, ma per avvertire – senza nulla togliere ai vantaggi della tecnologia – che non possiamo fare a meno di contatti, di strette di mano, di abbracci, di effusioni, di tenerezza, di amore. È proprio questo ciò che ci vuole trasmettere Gesù. Egli ce lo consente in molti modi, che si possono ricondurre a tre: i segni sacramentali, la fraternità tra di noi, la vicinanza ai poveri e agli infelici. Può sembrare strano, ma è così che oggi Gesù cerca il contatto con noi. E ricordiamoci che ogni contatto è reciproco: è dare e ricevere, toccare ed essere toccati. Per questo, l’ultimo decisivo passo è il “talità kum”: io ti dico, àlzati! Bisogna risorgere. Se non possiamo risorgere senza l’intervento della parola di Dio e della sua potenza, non lo possiamo nemmeno se noi stessi non ci alziamo, se noi non vogliamo alzarci. E di questi tempi, sono sempre di più le persone che non vogliono più alzarsi, non solo fisicamente ma anche psicologicamente e moralmente; rassegnati alla sconfitta e al male, non cercano più salvezza. Questa è davvero una sconfitta già avvenuta, questa è la fine, la morte di esseri apparentemente viventi.

Possiamo dire che Maria Goretti sia un esempio anche in questo. È sempre vissuta, nella sua breve esistenza, in contatto continuo con Gesù e sua madre Maria, e in una fede fervorosa e laboriosa. E nel momento decisivo, non si rassegna, ma lotta, perché crede nella forza di Dio e nella sua fedeltà. Si rialza non nel corpo ma nel cuore, rinnovando la sua fiducia nel Signore, il suo abbandono a Lui, fino alla parola di perdono, certa che sempre e solo Dio guarisce e salva. Siamo qui a dirle che continueremo a seguire il suo esempio e a sentirla piccola sorella che incoraggia e sostiene i nostri passi nella vita.