Omelia Messa nella Festa della Presentazione del Signore e XXV Giornata della Vita consacrata

02-02-2021

OMELIA

Cattedrale, Festa della Presentazione del Signore, 2 febbraio 2021

+ Mariano Crociata

La Presentazione al tempio di Gesù spiega chiaramente come il Figlio eterno si è fatto carico della condizione umana. Lo dice la lettera agli Ebrei: «doveva rendersi in tutto simile ai fratelli […] per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente». E come tutti i fratelli del suo popolo, Gesù viene presentato al tempio per riconoscere la grazia della vita, dell’appartenenza al popolo eletto, liberato dalla schiavitù con la promessa della terra per diventarvi una nazione. Gesù, come tutti i membri del suo popolo, a cominciare dai suoi genitori fino ai vegliardi Simeone e Anna, riconosce di dovere se stesso, in quanto uomo, a Dio.

Questa esperienza assume in Gesù una particolarità unica, perché egli è il Figlio eterno. Anche nell’eternità della vita divina il Figlio si riceve – ma necessariamente, cioè secondo la natura divina – totalmente dal Padre al quale si restituisce con altrettanta totalità di donazione. Il Figlio riceve tutto dal padre e a lui tutto dona di se stesso, trovando in questo la pienezza dell’essere, della vita, della gioia e dell’amore: riceversi e donarsi.

Ora, come uomo, Gesù fa questa ‘esperienza’ – per volerla chiamare così – nella maniera umana propria del popolo di Israele che, attraverso la presentazione al tempio dei primogeniti, riconosce e rinnova la sua fede più profonda. Il popolo in fondo, presentando i primogeniti, dice a Dio: noi non abbiamo nulla da noi stessi, tutto abbiamo ricevuto da te, la vita, la libertà, la nazione, perciò siamo qui a professare la nostra fede in te e a ricambiare il dono che abbiamo ricevuto offrendoti a nostra volta noi stessi perché si manifesti la tua gloria e la tua grandezza. Gesù, attraverso il gesto dei genitori, fa questa offerta di sé, nel gesto rituale che anticipa tutta una vita che sarà vissuta accogliendosi dal Padre e restituendosi a lui, fino al sacrificio supremo.

Ogni credente, ogni buon cristiano, vive della stessa fede e compie questo gesto a partire dal battesimo, non in riferimento ad un popolo determinato e ad una appartenenza territoriale nazionale, ma in riferimento alla salvezza partecipata grazie alla morte e alla risurrezione di Gesù. Veramente noi siamo stati illuminati e siamo entrati nel tempio di Dio, che non è una costruzione in muratura ma è Cristo stesso glorioso e il suo corpo, la Chiesa.

Abbiamo, perciò, bisogno di imparare sempre di nuovo che siamo dono di Dio e sentiamo la profonda esigenza di fede di fare della nostra vita un dono per lui. Questa logica del dono ricevuto e ricambiato è l’anima dell’esistenza cristiana ed è, in modo particolare, motivo e fondamento della vita consacrata. Per intendere adeguatamente la portata religiosa e culturale dell’esistenza cristiana e della vita consacrata, bisogna rendersi conto del suo significato nella cultura di oggi. Oggi si nasce e si cresce nella convinzione scontata che uno non deve niente a nessuno, che deve tutto a se stesso e che non dipende da nessuno: io sono solo soggetto di diritti e di possibilità. E se qualcosa va storto, qualcuno la deve pagare o, almeno, mi deve ripagare. Va crescendo questa idea totalmente immanente e autoreferenziale di una esistenza indipendente da tutto e da tutti. In questi mesi un tale modo di considerare la vita è stato incrinato da un virus che ha improvvisamente dimostrato la precarietà dell’esistenza umana e di tutti i suoi sogni illusori, perché tutti siamo esposti e possiamo essere colpiti più o meno gravemente.

Ma non basta nemmeno un’esperienza drammatica come questa per ricondurre a scoprire la propria creaturalità e finitezza, e quindi il nostro dipendere da un Altro – con la A maiuscola – a cui dobbiamo il nostro essere e in relazione con il quale abbiamo la possibilità di dare compimento alla nostra vita e di raggiungere la pienezza del nostro essere. Per riscoprire questa dimensione profondamente religiosa e cristiana c’è bisogno di testimoni, di persone che nella loro vita mostrano il senso del debito e della gratitudine di fronte a Dio e il desiderio vivo di ricambiarlo, trovando in tale ricambio gioia e compimento al proprio cammino.

Voi religiose e religiosi, prima e meglio di noi tutti ministri e battezzati, avete la possibilità di rendere una tale testimonianza, che la vita è un dono e che vale la pena spenderla per amore di Dio e dei fratelli, perché una vita spesa così non ha nulla da invidiare a quelle di chi si illude di realizzare chissà quale riuscita. Solo che bisogna crederci, dobbiamo crederci noi per primi, che vale la pena vivere così. Dove ‘vivere così’ non è un affastellamento di servizi vari o di pratiche devozionali, ma un modo di essere illuminato e riscaldato da una fiamma di fede e di amore che conferisce autenticità a una vita vera. E Gesù è venuto ed è stato presentato al tempio per abbracciare lui per primo una vita vera e renderla possibile a noi.