Omelia “Mandato ai ministri e collaboratori pastorali” (14/10/2016 – cattedrale S. Marco, Latina)

15-10-2016

OMELIA

Venerdì della XXVIII settimana (Ef 1,11-14; Lc 12,1-7)

Latina, Cattedrale di S. Marco, 14 ottobre 2016

Mandato a ministri e collaboratori pastorali

+ Mariano Crociata

 

Perché siamo qui? Ci siamo convocati per ricordarci gli uni gli altri e per dire a tutti che prestiamo la nostra collaborazione nelle comunità parrocchiali non per capriccio o ricerca di compensazione, velleità o passatempo, ma in risposta a una chiamata e per un incarico ricevuto. È una sorta di professione di fede quella che oggi compiamo. Non è la nostra iniziativa all’origine del nostro impegno, ma quella del Signore, alla quale abbiamo avuto la grazia di rispondere. Lo dice san Paolo: «annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato» (1Cor 9,16-17). Per un credente annunciare il Vangelo è un bisogno che nasce dall’esperienza dell’incontro con il Signore; ma un tale bisogno si trasforma in servizio operoso e in collaborazione pastorale quando il Signore, attraverso coloro che lo rappresentano nella Chiesa, ci manda, ci affida espressamente un incarico. È ciò che è accaduto a voi. E se anche qualcuno ha sentito il desiderio di candidarsi, è pur sempre l’accoglienza del parroco o del Vescovo ad aver trasformato il desiderio suscitato dal Signore in servizio ecclesiale.

Accanto a questo c’è un secondo significato. Proprio perché scelti e mandati, noi svolgiamo le nostre collaborazioni come comunità prima che come singoli. Non siamo soli nel nostro compito, ma è sempre con la Chiesa che agiamo. Se questo vale per i presbiteri e i diaconi attorno al Vescovo, con cui formano il presbiterio e la comunità diaconale, vale non meno per i tutti gli altri collaboratori. Se non siamo nell’unità e nella comunione della Chiesa, possiamo fare anche miracoli, ma non compiamo l’opera di Dio. Perché l’opera di Dio ha lui, per mezzo della Chiesa, come protagonista: noi tutti siamo solo collaboratori, tanto più fecondi ed efficaci quanto più uniti a lui e tra di noi. E dovunque ciascuno si trovi a operare, deve sapere che con lui è la Chiesa ad essere rappresentata e agire. All’inizio del nuovo anno vogliamo solennemente dichiarare che con questo senso di unità e con tale spirito di comunione ci impegniamo nei compiti, anche minuti, che ci vengono affidati. Lo vogliamo con gioia e ne siamo grati al Signore.

Anche le letture di questo giorno liturgico ci lasciano un messaggio di gratitudine, di speranza e di fiducia, una sorta di viatico rincuorante per il cammino che intraprendiamo all’inizio del nuovo anno pastorale. Il brano agli Efesini, innanzitutto, completando l’inno di benedizione a Dio con cui viene inaugurata la lettera, loda il progetto di Dio, grazie al quale «siamo stati fatti anche eredi, predestinati […] a essere a lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo». Noi siamo dunque al sicuro in Dio per la sua libera decisione di renderci eredi e di predestinarci alla salvezza. Anche la pagina di Luca ha una parola di consolazione: per tre volte invita a non avere paura. In un contesto di persecuzione, l’invito risuona incoraggiante ma soprattutto fondato sul valore prezioso che ciascuno riveste agli occhi di Dio: «valete più di molti passeri». Siamo preziosi per Dio. Valiamo il sangue di Cristo.

Insieme a questa parola rinfrancante, un monito e un impegno attraversano le due pagine. Il Vangelo mette in guardia da ciò che chiama «lievito dei farisei, che è l’ipocrisia». Gesù si riferisce alla doppiezza adottata come sistema di vita: per cui si appare in un modo, ma nel cuore e nei fatti – che gli altri magari non vedono – si è pervicacemente falsi e menzogneri. Questa doppiezza sistematica, voluta e coltivata, è cosa diversa dalla debolezza, che fa fatica ma che cerca in tutti i modi – pur tra mille contraddizioni – di inseguire l’unità e la coerenza. La profezia di Gesù anche qui è puntuale: la falsità nascosta presto o tardi verrà alla luce, sarà resa manifesta. Un invito pressante, perciò, sgorga spontaneo a cercare di annullare ogni doppiezza e falsità, per adoperarsi in tutti i modi per far corrispondere alla parola e all’apparenza il cuore e la vita.

San Paolo, agli Efesini, presenta la via per tendere all’unità di fede professata e vita vissuta che dà accesso all’eredità promessa e acquistata da Dio tramite il suo Cristo nello Spirito; tale via necessaria è la nostra personale e comunitaria adesione e partecipazione. Perciò dice: «anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo». Sembra proprio una parola rivolta alla nostra Chiesa, questa di Paolo. Il percorso è chiaro: si comincia con l’ascolto del Vangelo, parola di verità, lo si accoglie con la fede e si riceve lo Spirito che ha suscitato la fede nel Vangelo. C’è un movimento trinitario: Dio rivolge a noi la sua parola e suscita in noi la fede che ascolta e accoglie la parola in Gesù con la potenza dello Spirito. Immersi dentro il movimento delle persone divine, la nostra accoglienza diventa attiva in un ascolto cercato e in una fede viva e appassionata.

Con tutto ciò, che cosa vuole dire il Signore a noi tutti in questo inizio d’anno? Innanzitutto che dobbiamo guardarci dalla sfiducia e dalla paura. Pur di fronte a difficoltà e ostacoli, non ci deve essere spazio per la paura. Il Signore veglia sul cammino della sua Chiesa e non permetterà che perisca. Con questa certezza dobbiamo guardare avanti senza riserve o esitazioni, e darci da fare, dedicarci come meglio sappiamo a ciò che ci viene affidato.

Questo impegno ha la sua prima forma essenziale nell’ascolto del Signore. Vorrei cogliere questa circostanza per rinnovare con insistenza l’invito a riservare tempo e cuore alla lettura orante della Sacra Scrittura. Il prossimo anno la liturgia festiva ci offrirà la lettura del Vangelo di Matteo: potrebbe essere una occasione propizia per condividere nelle comunità la lettura continua del Vangelo, di cui troppo spesso ci limitiamo a prendere in considerazione solo alcune pagine. Dobbiamo imparare a lasciarci plasmare dal testo biblico, ascoltato e riascoltato, rimuginato, pregato, praticato. Se non facciamo così, la nostra fatica pastorale rischia di essere vanificata. Una interpretazione della frase evangelica su ciò che è nascosto e che sarà comunque manifestato è riferita alla parola di Dio: in tempi di persecuzione dovrà essere comunicata di nascosto, da persona a persona, ma verrà il tempo in cui sarà annunciata pubblicamente. Se non saremo noi a far risuonare la parola di Dio, con la vita e con le parole, essa troverà altre vie, senza di noi, per essere gridata sui tetti e raggiungere tutti. E c’è un solo modo per non diventare ostacolo alla diffusione della parola di Dio: ascoltarla per primi noi stessi.

I servizi che ciascuno di voi svolge nella propria comunità devono nascere dall’ascolto del Signore e devono essere assolti con nel cuore la certezza della sua presenza e il desiderio di servirlo e onorarlo nei fratelli. Qui torna opportuno quanto già scritto nella Lettera pastorale: impariamo a guardare in faccia, ad accogliere con rispetto e stima le persone a cui ci dedichiamo nello svolgimento della nostra collaborazione in parrocchia. Questo è quasi più importante degli stessi compiti che dobbiamo assolvere. Lo raccomando ai catechisti, soprattutto dei bambini e dei ragazzi, spesso così difficili o irrequieti o distratti. E lo raccomando pure a tutti gli altri collaboratori, a chi presta servizio all’altare, a chi proclama le letture, a chi anima il canto nella liturgia, a chi si prende cura dei poveri e dei bisognosi, a chi è impegnato nella manutenzione della chiesa o collabora nell’amministrazione parrocchiale, o altro ancora. Nel fare tutto ciò, il pensiero deve essere rivolto al Signore e agli altri, non a noi stessi. Non dobbiamo fare le cose per noi stessi, per apparire o contare, ma per lodare Dio e ringraziarlo e per essere utili agli altri nel loro cammino e nel loro incontro con Dio.

Accompagnandovi con questi pensieri, siate il volto lieto e fraterno della Chiesa, a cui rendere testimonianza accogliendovi gli uni gli altri nelle comunità.