Omelia festa dei Santi Patroni di Sezze (02/07/2021 – Concattedrale di S. Maria, Sezze)

02-07-2021

OMELIA

Concattedrale di S. Maria – Sezze, venerdì 2 luglio 2021

Festa dei Santi Patroni

+ Mariano Crociata

Quest’anno la festa dei Santi Patroni qui a Sezze si svolge sullo sfondo di una vita cittadina travagliata da momenti non poco difficili. Non ci è più consentito di relegare come fuori dal tempo le nostre celebrazioni e le ricorrenze che risvegliano il senso della nostra storia e della nostra identità. È una tentazione vera e propria quella che rimuove il presente per rifugiarsi in un passato ideale o quella che fa evadere dalla vita reale per nascondersi in un religiosità fatta di ritualità esteriore o di insulso intimismo. Una coscienza credente cerca di capire le ragioni di ciò che accade e di trarne le conseguenze per un futuro migliore e più rispondente agli ideali in cui diciamo di credere e che vogliamo celebrare. Il fatto è che il più delle volte i nostri comportamenti – e, senza fare di ogni erba un fascio, come si suol dire, non solo di alcuni, ma per un verso o per un altro un po’ di tutti – sono dettati non da criteri evangelici né da indicazioni della morale cristiana, bensì da passioni e istinti che sono privi della luce di Cristo e della grazia di Dio. Viene in mente il rimprovero di san Paolo agli Efesini: «Anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi» (2,3). E nella lettera a Tito insiste: «Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, corrotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda» (3,3).

Per molti in realtà questi rimproveri non valgono, perché ormai si sono di fatto allontanati dalla fede e non vogliono più saperne, anche se non lo dicono apertamente; ma per quelli che la vogliono tenere viva questa fede, il monito è serio, perché coglie un rischio reale, quello cioè di essere tornati a vivere come se mai avessero ricevuto il battesimo, come se non fossero cristiani. La ricorrenza dei Santi Patroni suggerisce una riflessione in questo senso opportuna. Sia san Lidano che san Carlo sono vissuti in epoche in cui il cristianesimo era una forza religiosa e culturale tale da lasciare un’impronta profonda sul sentire e sul vissuto dell’intera collettività. Essi sono espressione di una fede e di una religiosità coltivata a partire dalle famiglie di origine – anche qui senza idealizzare e pensare che tutto andasse bene. In loro la fede cristiana condivisa e vissuta dal popolo assurge a un grado di eccellenza che è mostrato sia dallo stato religioso abbracciato sia dalle scelte concrete e dai comportamenti personali. Le loro sono epoche nelle quali lo stato religioso di vita, come quello ecclesiastico, rappresenta un modello e una condizione particolarmente favorevoli e considerati superiori a quella normale di un laico, sebbene anche in questa siano stati pure sempre conosciuti esempi di santità.

La riflessione che la loro ricorrenza ci porta a fare è molto semplice: in un tempo come il nostro, nel quale non solo le famiglie fanno fatica a tenere alto il livello della vita cristiana e in particolare dell’educazione cristiana dei figli, e in cui l’impoverimento della fede si coglie anche dalla riduzione delle vocazioni al ministero e alla vita religiosa, dobbiamo cercare nell’esempio e nella intercessione dei Santi Patroni un energico richiamo a ridare qualità di fede e di moralità alle nostre persone e allo stile di vita di noi praticanti – perché è di noi che dobbiamo parlare, e non degli altri. Una festa come questa rischia di venire svuotata se non riesce a pungere le nostre coscienze fino a farle sanguinare per lo stato in cui si è ridotta la nostra comunità ecclesiale, sociale e civile. I nostri santi ci dicono che oggi non abbiamo bisogno di benedettini o francescani, ma di buoni e onesti cristiani, che tengano alla loro coscienza, che abbiano cura dei loro doveri di genitori, di educatori, di lavoratori, e quindi abbiano cura del bene comune, del bene di tutti, e non solo e sempre degli interessi di parte, che superino divisioni, rivalità e scontri che producono solo malessere personale e collettivo.

La dobbiamo sentire, questa esigenza, sia come richiesta direttamente dai nostri santi, sia come urgenza che nasce dal pericolo di un degrado ancora maggiore della convivenza che alla fine porta a rendere invivibile e insopportabile lo stare insieme. Noi credenti dobbiamo sentirci direttamente e in prima persona interpellati in questo senso. Il vangelo di cui parla san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (9,16ss.) è ciò che deve nutrire in noi pensieri, sentimenti e parole. Ci abbeveriamo alle fonti più inquinate, che spesso media e social ci elargiscono in abbondanza, senza renderci più conto del livello volgare e futile dei nostri pensieri e dei nostri discorsi. E invece dobbiamo nutrirci di vangelo, ascoltato, meditato, pregato. E poi la pagina del vangelo di oggi (Gv 10,11-16) scava ancora più in profondità, perché ci chiede direttamente: chi è il tuo pastore? Chi è il mio punto di riferimento? A chi mi rivolgo quando ho bisogno di capire, di trovare un orientamento, di fare una scelta? Dove cerco aiuto? Sono domande drammatiche, se pensiamo al grado di smarrimento al quale stiamo arrivando nel polverone di opinioni e di tendenze che dominano e disorientano l’immaginario collettivo e la scena pubblica.

Abbiamo bisogno di recuperare verità e serietà. La vita per molti è diventata una gran baldoria. E la stessa pandemia, di cui speriamo di vedere presto il superamento, è per molti solo un’occasione per continuarla, la baldoria, nonostante i tanti che ne portano e ne porteranno ancora a lungo le ferite, per non parlare di quelli che non ci sono più. Voglio chiudere con uno spunto che viene dalle vicende biografiche dei nostri santi: san Lidano viene a Sezze da un’altra regione, san Carlo da Sezze lascia invece la città di nascita e conduce la sua vita altrove. Anche questa è una lezione da raccogliere. Ci vuole apertura e movimento, non chiusura. Spesso il rimanere chiusi nel piccolo circuito dei propri interessi e delle proprie abitudini, finisce con l’incentivare una chiusura del cuore e della mente, un impoverimento culturale e spirituale, che devono cominciare ad essere contrastati qui e ora con una rinnovata capacità di accoglienza e di incontro reciproci.