Omelia celebrazione di fine anno pastorale con il Cammino neocatecumenale (05/07/2021 – Cattedrale di S. Marco)

05-07-2021

OMELIA

Celebrazione di fine anno pastorale con il Cammino neocatecumenale

Cattedrale, lunedì 5 luglio 2021, S. Maria Goretti

+ Mariano Crociata

Chiudere un anno di attività celebrando la festa di S. Maria Goretti assume un significato preciso. Sullo sfondo delle pagine della Scrittura proclamate, la ricorrenza infatti lancia un messaggio che restituisce il sapore più genuino del Vangelo. È chiaro che la Chiesa sceglie dei brani biblici che mettono in risalto la perfetta corrispondenza tra la Parola di Dio e la figura di santità che viene celebrata. Per questo abbiamo ascoltato: «mi ricordai delle tue misericordie […] perché tu liberi quanti sperano in te». Il Siracide presta la voce ad una Maria Goretti che si abbandona all’amore di Dio anche nell’ora estrema, quando ogni speranza umana è esaurita, e si rimane soli con Dio. Ma non è questo l’atteggiamento di Gesù, prima al Getsemani e poi sulla croce, quando assapora fino in fondo il calice amaro dell’abbandono e insieme rinnova ostinatamente la consegna fiduciosa di sé al Padre? E poi san Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole […] ignobile e disprezzato e ciò che è nulla». In un mondo in cui a fare notizia è chi ha potere, reale o di immagine poco importa, il Vangelo torna a riproporre la logica capovolta di Dio, dove l’ultimo è il primo a contare davvero. Di fatto, ci sentiamo alquanto sconcertati a mettere al centro dell’attenzione una ragazzina di cui è difficile trovarne una più insignificante: ancora piccola, di una famiglia quasi schiava di una condizione da cui era difficile, se non impossibile, riscattarsi, senza istruzione, senza frequentazioni sociali, lontana dai centri piccoli e grandi della vita collettiva, e si potrebbe continuare con altre caratterizzazioni. Ma anche in questo, Gesù, prima di lei, interpreta perfettamente tale ruolo, anche lui ultimo tra gli ultimi, senza nessun titolo che lo legittimi rispetto alla istituzione religiosa e tanto meno rispetto alle istituzioni civili e politiche. Infine il Vangelo: «se il chicco di grano […] chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Marietta e, prima di lei, Gesù, sono il chicco di grano che muore per diventare fecondo, perde se stesso per dare vita ad altri.

Due cose dobbiamo allora portare con noi. Il nostro metro di giudizio ha bisogno di essere sempre di nuovo aggiustato. Perché in questo mondo è quasi inevitabile giudicare persone e situazioni secondo criteri di potere e di immagine, di importanza e di calcolo del vantaggio che può venire dal contattare o dal frequentare l’uno piuttosto che l’altro. Maria Goretti ci ricorda, in tutta semplicità, che agli occhi di Dio conta chi non conta niente agli occhi del mondo. Non vuol dire, questo, l’esaltazione del volgare e del plebeo, di chi porta vanto della propria rozzezza e dell’inciviltà. Non bisogna travisare il Vangelo. Vuol dire invece il riconoscimento della fedeltà a Dio e al suo Cristo nella semplicità della vita, nell’umiltà dell’atteggiamento prima che della condizione, nella ricerca sincera del bene. Dobbiamo imparare a fare un esercizio: riflettere su noi stessi circa come stiamo giudicando una persona e come stiamo eventualmente pensando di rapportarci ad essa, per scrutare in noi stessi se c’è la ricerca della grandezza o del vantaggio secondo il mondo o la ricerca della presenza del bene secondo Dio. Poi cercheremo di trattare tutti con carità. Ma dobbiamo prima sempre chiederci: che cosa sta facendo Dio in questa persona? E come essa si sta rapportando con Dio?

La seconda cosa riguarda invece noi stessi, quando ci troviamo ad essere, per qualche ragione e nelle maniere più imprevedibili – ma certo non perché colpevoli – mortificati, schiacciati, sconfitti, non solo offesi ma annientati. Lì dovremmo dimostrare, a noi stessi innanzitutto, la tempra della nostra fede. La vita del cristiano, per molti, è un lungo apprendistato per tali momenti. Di solito non si è preparati, e quando arriva, improvvisa, spietata e rovente, la scudisciata, sulle prime rimaniamo frastornati e confusi, e poi a lungo – spesso troppo a lungo – non ci diamo pace di fronte all’ingiustizia subita. Si può anche non arrivare a superare questa ribellione interiore e a dare un senso al colpo che ci è stato inferto. È difficile accettare le ingiustizie, e anzi non bisognerebbe mai rassegnarsi! Ma qui il punto non è la rassegnazione, bensì il senso che ha e che si deve dare a ciò che ci è toccato. Gesù lotta, si ribella, ma poi riconosce di avere a che fare con il Padre, con Dio, e si affida, sicuro che Dio troverà un senso alla sua sconfitta e al suo fallimento. E la risurrezione è il senso della morte di Gesù: a una morte di consegna fiduciosa al Padre, Dio risponde con una risurrezione che è già vittoriosa dentro la morte.

Ci possiamo chiedere perché debba essere questa la via. Non c’è una risposta teorica adeguata, o almeno non è la risposta più importante. C’è invece il riconoscimento che questa è la via di Dio, perché Dio l’ha scelta e l’ha seguita prima di tutti noi. Maria Goretti è un esempio moderno di una lunga sequela di discepoli di Gesù che hanno abbracciato di essere come lui, chicco di grano caduto in terra che muore, con una fede incrollabile che il frutto sarebbe stato straordinariamente abbondante, fecondo di vita senza fine.