Omelia al santuario della Madonna di Trapani (03/08/2019 – Trapani)

03-08-2019

OMELIA

Santuario della Madonna di Trapani (Trapani)

Sabato 3 agosto 2019 – Liturgia della Domenica XVIII TO C

+ Mariano Crociata

Capita di vedere associato in un titolo mariano al nome di Maria quello di un luogo oppure, più raramente, quello di una città. È il caso della Madonna di Trapani, che manifesta in questa maniera il legame storico di tutta una popolazione con la madre di Gesù, un legame in cui si intrecciano la devozione da un lato e le grazie invocate e sperimentate dall’altro lato. Non dunque il richiamo ad un aspetto della figura di Maria, ma l’evidenza di uno stretto rapporto con lei, nel quale un po’ tutti gli ambiti di vita finiscono per essere toccati e interpellati.

In questa maniera il titolo mariano diventa soprattutto una responsabilità. Portarlo, per così dire, sulle proprie spalle non è cosa da poco di questi tempi. Viene da chiedersi infatti: come la popolazione di questa città onora la propria patrona? La società nella quale viviamo non ha certo le caratteristiche che aveva la società dei secoli passati, qui come altrove. Se non altro, si deve registrare l’avvento di un pluralismo culturale, etico e religioso che ha ridotto la quota di popolazione che effettivamente si sente interpellata dalla presenza di Maria e in genere dai segni religiosi. L’identificazione di un’intera città con la sua patrona è ormai fuori dall’orizzonte, almeno in termini quantitativi. Ma non è questo il punto più rilevante. Ciò che più dovrebbe preoccupare è l’effettiva coerenza – o meno – di quanti si dicono, almeno a parole o con i riti, credenti e devoti. Dice S. Ignazio di Antiochia: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».

Tornare a esprimere la nostra devozione diventi, allora, occasione di una severa verifica. Dovremmo imparare a confrontarci più assiduamente con la Parola di Dio per apprendere quell’arte del discernimento nella quale Maria eccelle come modello e maestra. Di lei dice infatti il Vangelo: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Siamo qui a prepararci alla solennità dell’Assunta sicuramente con l’aspirazione ad accogliere l’invito di Maria all’ascolto del Signore: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,1).

Oggi siamo potentemente insidiati da una tentazione a cui sempre l’uomo è stato esposto: quella, intendo, di legare la riuscita della propria vita quasi esclusivamente al benessere materiale e alla ricchezza. Tutto sembra ruotare attorno ad essa e congiura per convincerci che gli unici problemi che abbiamo sono quelli di ordine economico. Come quell’uno della folla di cui parla il Vangelo di oggi, il quale chiede a Gesù di risolvergli i conflitti di eredità con il fratello. Esistono indubbiamente difficoltà e perfino drammi determinati da ingiustizie e sperequazioni economiche, e il compito della politica e delle istituzioni preposte dovrebbe essere proprio quello di affrontarli e risolverli. E tuttavia quando anche tutte le storture economiche e sociali venissero corrette, il problema sarebbe ancora lì, perché la spartizione dell’eredità è solo una delle situazioni nelle quali emerge che per molti i soldi finiscono con il contare di più del legame di sangue, degli affetti più cari, perfino di più del senso del bene e della giustizia, perché il proprio interesse economico sta in cima a tutti i pensieri e a tutte le preoccupazioni.

Lo stravolgimento inizia nel cuore dell’uomo, quando in esso l’idolatria dell’arricchimento illimitato si trasforma in un vero e proprio idolo che scalza ogni altro principio e valore, perfino quelli considerati più sacri e decantati da tutte le retoriche di circostanza, civile o religiosa che sia. La radice sta nella paura e nel senso di insicurezza che affligge la condizione umana e attanaglia e domina i nostri pensieri e le nostre emozioni. L’attaccamento al denaro e alla ricchezza è espressione ultimamente di questo bisogno di sicurezza; solo che in realtà non c’è un livello, raggiunto il quale uno possa dire: ora posso stare tranquillo. Quando hai tagliato un traguardo, riemergono di nuovo prepotenti la paura e l’angoscia, che si cerca di placare ancora una volta inseguendo un arricchimento ancora maggiore; in tal modo ci si riduce preda dell’ossessione e di un circolo vizioso senza fine. Per questa via la paura e l’angoscia non possono mai venire superate.

Gesù lo dice in maniera semplice e, come sempre, incisiva: «anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». La parabola lo spiega ancora una volta in una forma illuminante: l’uomo ricco si illude di potere raggiungere in futuro la tranquillità e di godersi la vita dopo che avrà costruito magazzini più grandi che contengano le sue nuove ricchezze. Ma così progettando egli commette due errori: il primo è che quando sarà riuscito nell’impresa, tornerà a sentire il morso della paura e il bisogno irrefrenabile di accumulare ancora di più; ma il secondo errore è ancora più grave, perché si illude di essere padrone del tempo e di potere dominare il futuro. Solo che il tempo e il futuro non si comprano, non sono in potere della creatura umana, non possono essere ipotecati come si fa con i beni materiali.

I nostri vecchi ci hanno insegnato un senso di precarietà e di distacco salutari, che unicamente sono in grado di farci prendere la giusta misura della vita. E lo facevano ripetendo, di fronte alle attese future o a future scadenze: se Dio vuole! Noi oggi non la sentiamo più risuonare simile espressione, forse perché stiamo dimenticando che non siamo noi i signori della vita, bensì solo gli amministratori temporanei; il Signore della vita è uno solo. Sembra anzi che siano rimasti solo certi musulmani –nemmeno tutti – a farci ricordare quella frase, che è espressione di fede e di saggezza: se Dio vuole! Forse dovremmo riappropriarcene.

La sicurezza e la tranquillità della vita non possono essere ottenute e garantite dai beni materiali. Esse sono invece il frutto della fiducia e di relazioni autentiche. I bambini ce lo insegnano con il loro stile immediato tipicamente infantile. Si sentono al sicuro non perché sanno di possedere qualcosa, ma solo perché sono circondati dall’amore e dalla tenerezza di papà e mamma; con loro si sentono al sicuro e non hanno bisogno di nulla, perché con loro hanno tutto. Così dovrebbe essere ogni vero credente: affidato e fiducioso così incondizionatamente al Padre di Gesù, da sperimentare la sicurezza che viene dalla presenza divina. Dopo non mancherà di lavorare e di faticare per realizzare tutti gli obiettivi che la vita, anche economica, gli chiede, ma non per cercarvi la sicurezza della vita, poiché quella è già al sicuro nelle mani di Dio.

E ciò che vale innanzitutto nel rapporto di fede con Dio si rispecchia nelle nostre relazioni interpersonali. Quando entrano in gioco i soldi come fattore dominante, allora le relazioni saltano, perfino le più intime: tra fratelli, fra genitori e figli, tra marito e moglie. Viviamo invece innanzitutto di relazioni, abbiamo bisogno di relazioni autentiche, senza le quali tutto diventa vano e anche la ricchezza non ha più senso, non dà più nulla, perché vengono meno l’amore e l’amicizia che danno sapore alla vita.

Tenendo fra le braccia Gesù bambino e offrendocelo, Maria vuole dirci che è nella comunione e nella comunicazione con lui che la nostra vita personale, e anche la vita di una città, può ritrovare senso e autenticità, armonia e giustizia. Il titolo mariano che incorona questa città esige di essere onorato da una nuova relazione con Maria che faccia recuperare la relazione con Dio e con Gesù, e insieme le relazioni con gli altri, così da fondare la vita associata su nuove basi, di fiducia, di solidarietà, di fraternità.