Meditazione sul Vangelo di Matteo 28, convegno operatori Caritas (09/10/2016 – Curia vescovile, Latina)

10-10-2016

Meditazione su Mt 28,8-10

Convegno di inizio anno degli operatori della Caritas

Domenica, 9 ottobre 2016

+ Mariano Crociata

Matteo 28

8 ¿a¿ ¿pe¿¿¿¿sa¿ ta¿¿ ¿p¿ t¿¿ µ¿¿µe¿¿¿ µet¿ f¿ß¿¿ ¿a¿ ¿a¿¿¿ µe¿¿¿¿¿ ¿d¿aµ¿¿ ¿pa¿¿e¿¿a¿ t¿¿¿ µa¿¿ta¿¿ a¿t¿¿.
9 ¿a¿ ¿d¿¿ ¿¿s¿¿¿ ¿p¿¿t¿se¿ a¿ta¿¿ ¿¿¿¿¿¿ ¿a¿¿ete¿ a¿ d¿ p¿¿se¿¿¿¿sa¿ ¿¿¿¿t¿sa¿ a¿t¿¿ t¿¿¿ p¿da¿ ¿a¿ p¿¿se¿¿¿¿sa¿ a¿t¿. 10t¿te ¿¿¿e¿ a¿ta¿¿ ¿ ¿¿s¿¿¿¿ ¿¿ f¿ße¿s¿e¿ ¿p¿¿ete ¿pa¿¿e¿¿ate t¿¿¿ ¿de¿f¿¿¿ µ¿¿ ¿¿a ¿p¿¿¿¿s¿¿ e¿¿ t¿¿ Ga¿¿¿a¿a¿, ¿¿¿e¿ µe ¿¿¿¿ta¿

8Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. 9Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: “Salute a voi!”. Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”.

La scelta del brano è chiaramente motivata dalla Lettera pastorale per l’anno pastorale appena iniziato, che ha nel titolo la citazione dell’ultimo versetto e come tema l’annuncio, compito a cui prepararci e da cominciare ad assumere.

Il contesto vede la scena che precede raccontare l’incontro sorprendente delle donne al sepolcro trovato vuoto con l’angelo che annuncia loro Gesù risorto e le rinvia in Galilea. La scena successiva riferisce del maldestro tentativo delle autorità giudaiche di negare la risurrezione e dell’incontro in Galilea.

Nel nostro breve brano ricorre due volte il verbo greco ¿pa¿¿¿¿¿o, che letteralmente significa ‘portare una notizia’. La nostra traduzione dice nel primo caso dare l’annuncio e nel secondo annunciare. L’espressione ha acquistato nel nostro linguaggio ecclesiale un significato tecnico ed è circondato da un alone che fa pensare a tutta l’attività di predicazione e di catechesi nella Chiesa, magari con la notazione speciale per quell’annuncio che deve essere rivolto a chi non è praticante o non credente. Nel testo evangelico il verbo ha invece un significato preciso: andate a portare la notizia. È una notizia inaudita, sconcertante, addirittura sconvolgente: Gesù era morto, era stato anche sepolto; ora succede un fatto sorprendente e inimmaginabile, che lascia senza parole: le donne vanno al sepolcro e trovano che è vuoto; un essere misterioso che sta alla tomba – l’angelo – dice che egli è vivo e che dà loro appuntamento in Galilea. Questa è la situazione in cui va colto il significato dell’annuncio: c’è una notizia che cambia tutto e deve essere portata al più presto a coloro che hanno conosciuto e seguito Gesù fino alla fine, i discepoli, ormai rassegnati alla fine miserevole di tutto. Quando subentra la morte, infatti, non c’è più spazio per nulla, se non per la nostalgia, il rammarico, il ricordo; nessuno si aspetta che un morto ritorni in vita: tutto è finito e non c’è più nulla da fare. Ciò che accade a Gesù invece capovolge tutto.

Giustamente, perciò, le donne sono piene di «timore e gioia grande». Il timore viene dalla percezione della vicinanza del mistero dell’aldilà, di qualcosa cioè di misterioso, inconoscibile e non dominabile, oscuro e minaccioso come sa esserlo solo la morte. D’altra parte la gioia si affaccia subito, per il presentimento della verità di ciò che l’angelo dice e per la possibilità di rivedere Gesù e rincontrarlo. Ma ecco che il timore viene fugato e la gioia resa incontenibile, perché Gesù stesso si fa incontro.

Su questo va svolta una riflessione ulteriore: Gesù risorto non lo si incontra per caso, ma solo se lui stesso prende l’iniziativa di farsi incontro e decide di incontrare qualcuno. È Gesù che vuole e decide di incontrare le donne andate al sepolcro. Questo vuol dire che la risurrezione di Gesù non è una verità astratta che uno possa accettare o rifiutare in forza di un ragionamento o di una dimostrazione documentaria che qualcuno possa acquisire o esibire. Gesù risorto lo si può solo incontrare, e non si può incontrare di propria iniziativa e per decisione autonoma. Lo si incontra se lui decide di farsi incontro e di farsi incontrare. È proprio questo il significato del verbo ¿p¿¿t¿se¿, dal verbo ¿pa¿t¿¿. Si può osservare che nella parola è contenuto il termine ‘anti’, che significa opposizione, contrasto o almeno frontalità. L’incontro che il Risorto decide di avere nei confronti di qualcuno contiene un elemento inaggirabile di resistenza che costringe a reagire, che provoca una reazione. Non si può rimanere indifferenti di fronte a lui. Il suo presentarsi non può non essere preso in considerazione, costringe a prendere posizione.

La reazione suscitata dall’incontro di Gesù non è solo di scoperta, di gioia, di ripresa di speranza e di vita, che nelle donne si esprime come desiderio di abbracciarlo e trattenerlo e di adorarlo, ma risponde anche a quanto egli dice quando appare: Non temete, e poi ancora: andate ad annunciare. Il fatto sconvolgente del suo essere vivo mette in contatto con il mistero oscuro della morte e perciò suscita timore, ma per il fatto che si tratta di Gesù il potere minaccioso della morte si trova ad essere come svuotato; essa ormai ha perduto la forza di colpire quelli ai quali Gesù va incontro e si manifesta; perciò la paura svanisce e resta solo la gioia della sua presenza. Solo che non si gode della nuova e definitiva presenza di Gesù in una condizione estatica e inerte; al contrario la gioia chiede di essere condivisa; la notizia deve essere portata ad altri.

I primi destinatari della notizia sono i discepoli. Bisogna a questo proposito notare come l’iniziativa di Gesù di apparire innanzitutto alle donne, prima dei discepoli, riveli la libertà dell’iniziativa di Dio e faccia saltare ogni forma di presunzione e di pretesa umana. Ma d’altra parte non può passare inosservato che Gesù chiama i discepoli miei fratelli: nonostante il tradimento e l’abbandono, per Gesù rimangono fratelli, legati a lui indissolubilmente.

Da considerare attentamente infine il rinvio alla Galilea. È il luogo prescelto da Gesù per l’invio in missione. Gesù non si attarda su inutili saluti, ma prontamente chiede di portare la notizia e diffonderla sempre di più. Ma perché la Galilea? Non poteva farlo a Gerusalemme, luogo simbolico per eccellenza non solo della religione ebraica ma anche degli eventi pasquali? Gesù decide un monte della Galilea per dire ai discepoli che bisogna ritornare alla terra degli inizi perché luogo della vita ordinaria in cui è cominciata la loro storia con Gesù. È nella vita ordinaria, in un ambiente apparentemente profano, in ogni caso non segnato da particolari simboli o significati religiosi, spazio della vita di tutti nella mescolanza di ogni genere di persone: è lì che bisogna ritornare e da lì ricominciare, ma questa volta con la forza della presenza vivente del Cristo risorto. Tanti attendono la notizia; a noi la consapevolezza del compito di portarla e di saperla comunicare e trasmettere.

Come i nostri interlocutori attendono la notizia che può cambiare la loro vita? E come, soprattutto, attraverso la notizia che noi portiamo possono disporsi a incontrare Gesù, se e come egli vuole apparire loro? Si tratta di rendere la testimonianza del nostro incontro. La domanda allora ritorna su di noi. Noi l’abbiamo incontrato? Come si è fatto incontro a noi? Qualcuno potrebbe dire che effettivamente non gli è mai successo. Ma è proprio così? Quale attenzione e disponibilità abbiamo dato alla presenza e all’iniziativa di Gesù nella nostra vita? È lui che non si è fatto incontro o siamo noi che non abbiamo prestato la giusta attenzione e offerto la giusta accoglienza? Anche solo l’ascolto della sua parola può diventare lo spazio spirituale dell’incontro più profondo e personale.

E infine: che cosa dice questo testo a voi operatori della Caritas? Una cosa dobbiamo ribadire in questo inizio di un nuovo anno di servizio e di attività: il messaggio non si baratta con un pezzo di pane o con qualche momento di ascolto dei problemi di una persona; la pratica religiosa non si compra con la carità. Meglio cento poveri che prendono qualcosa da noi e non mettono mai piede in chiesa, che una sola persona che si senta costretta a entrare in chiesa per obbligo di fronte a un aiuto ricevuto. L’incontro con Cristo è un evento di libertà dalla parte di Gesù stesso, innanzitutto, e dalla parte di chi ne ascolta l’annuncio e lo riceve. Ma la caratteristica fondamentale dell’ascolto della carità è proprio quella di essere fatto per Gesù e nel nome di Gesù. Con delicatezza e rispetto questo deve passare attraverso le nostre parole e i nostri gesti. La notizia che Cristo è vivo e vuole incontrare coloro che si rivolgono ai nostri centri di ascolto e di distribuzione deve giungere attraverso le nostre persone. Noi dobbiamo trasmettere, senza troppe parole, che attraverso di noi Cristo li sta ascoltando e sta venendo incontro alle loro richieste e ai loro bisogni. Essi devono sperimentare attraverso di noi che non sono condannati a rimanere schiacciati dalla paura della morte, che raggiunge e affligge molti che si vedono senza speranza, senza futuro, senza possibilità di costruire qualcosa di buono nella propria vita. Se le persone che si accostano a noi potessero sentire insieme al timore anche un po’ di gioia, vorrebbe dire che cominciano a percepire che non sono più solo preda della minaccia inesorabile della morte, così da cominciare a fare da se stesse il passo dalla gioia per aver superato l’esperienza mortale del bisogno e della fame, alla gioia di vedere che c’è Qualcuno che le può aiutare a uscire dalla morsa mortale dell’indigenza e della dipendenza per incamminarsi sulla via di una nuova capacità e libertà di iniziativa, con la presenza e la compagnia di un aiuto più grande.

Chiudo con una riflessione che coglie un aspetto costante importante della vostra attività. L’impegno che ci siamo dati quest’anno è quello di annunciare dopo aver ascoltato, cioè di portare la notizia gioiosa di Gesù presente e vivo dopo aver capito la situazione della persona a cui ci rivolgiamo, in modo che essa possa essere meglio aiutata a conoscere e incontrare realmente Gesù. Ebbene, la prima cosa che dobbiamo tenere presente è che tra noi e coloro che si rivolgono alla Caritas corre una differenza fondamentale: che noi, bene o male, godiamo di una condizione di sicurezza materiale che ci mette al riparo da gravi incertezze e non ci fa temere almeno immediatamente per il domani; loro, al contrario, non sanno che futuro li aspetta, non hanno nessuna certezza per il domani, vivono in una condizione endemica di insicurezza e di paura. Se non comprendiamo questa differenza, difficilmente potremo, non solo annunciare Gesù Cristo, ma svolgere un efficace servizio di carità a nome della comunità cristiana e della Chiesa. Su questo vi invito a portare avanti la riflessione insieme al vostro servizio nella Caritas.