Il discernimento della Chiesa pontina passa attraverso la lettura sociologica del territorio

Non può esserci azione efficace sul territorio da parte del cristiano se non c’è conoscenza del proprio contesto ambientale. Questo lo spirito con cui giovedì scorso la Diocesi pontina ha organizzato un seminario a invito su «Una lettura sociologica del territorio pontino. Contributo al discernimento cristiano della nostra Chiesa». In particolare, l’argomento è stato affrontato attraverso un dialogo con Giuseppe De Rita e Luca Diotallevi, tra i massimi esperti italiani di sociologia.

È stato lo stesso vescovo Mariano Crociata a spiegare nella sua introduzione il senso di tale iniziativa agli esponenti della comunità civile ed ecclesiale pontina intervenuti: «L’obiettivo proprio di ogni comunità cristiana è quello di fare discernimento sulla situazione della fede della Chiesa e sulla sua missione nel contesto sociale e territoriale proprio. La sede del discernimento ecclesiale è, dunque, la comunità stessa e i suoi organismi di partecipazione. Esso pone e cerca risposta a domande che ultimamente si forzano di risalire alla conoscenza della volontà di Dio, non in generale ma con riferimento alla condizione che i credenti vivono in un determinato tempo e luogo. Da qui sorgono le domande che interpellano la coscienza e la missione di una Chiesa nella storia». Un’occasione per «capire qualcosa della struttura e delle dinamiche della nostra vita sociale, qui, in territorio pontino, nella convinzione che tale comprensione è presupposto essenziale per svolgere in essa la nostra esistenza di credenti e la nostra missione di Chiesa», ha rimarcato Crociata.

In tal senso, è andato l’intervento di Giuseppe De Rita, il quale ha spiegato due caratteristiche del territorio da tener presente in ogni tipo di analisi: «Una è la dipendenza: dalla Cassa del Mezzogiorno, dal potere romano e così l’economia locale anziché consolidarsi negli Anni 50 intorno all’impresa del posto puntò tutto sui grandi insediamenti industriali, come il farmaceutico oggi, portando tutto il territorio a dipendere dal «ciclo» dei mercati internazionali e delle strategie d’impresa che il territorio non controlla». Altre dipendenze sono il turismo con le sole seconde case dei romani e «purtroppo anche la dipendenza occulta che deriva dalle invasioni della devianza campana». De Rita ha proseguito con la seconda caratteristica: «La disappartenenza da tanti settori e ambiti (partiti, volontariato…), non c’è più appartenenza comunitaria. A Latina ci sono meno che altrove soci di onlus e volontariato. Io consiglio il recupero della dimensione intermedia. Ricominciamo ad appartenere».

Dal punto di vista socioreligioso, Luca Diotallevi ha evidenziato alcuni elementi di crisi del territorio come «l’arretratezza del tessuto parrocchiale rispetto alla distribuzione della popolazione che è cambiata nel tempo, oltre l’intensità del reclutamento non convenzionale del clero avuta in passato». Tuttavia, sempre per Diotallevi, ci sono anche punti di forza: «Le parrocchie urbane queste erogano più servizi sociali; i presbiteri religiosi sono sopra la media nazionale e riprende a crescere un nucleo di clero locale; alcune forme di impegno laicale». Sulla base di ciò sono possibili un paio di scenari. «Latina è in ritardo verso l’arrivo del fronte della religione a bassa intensità, oppure c’è stato un processo capace di tamponare questo fenomeno, quindi le politiche ecclesiastiche hanno tenuto».

Ora starà ai partecipanti proporre negli organismi di cui sono componenti le loro domande, per arrivare poi alle risposte per raggiungere il bene comune.